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Vita In Pillole

~ Tipico blog di un'adolescente atipica

Vita In Pillole

Archivi tag: vita quotidiana

Passeggeri

27 domenica Apr 2014

Posted by LadyLindy in Pensieri di sfuggita

≈ 4 commenti

Tag

che misera vita, stazione, treno, vita quotidiana

Andare in treno è bellissimo. Il treno è diventato il mio mezzo di trasporto preferito dopo la bicicletta, perché ogni volta che lo prendo mi accadono un sacco di cose interessanti, un mondo di avventure che neanche Ash Ketchum a Borgo Foglianova.

Prendiamo per esempio quella volta in cui all’orario di punta sono riuscita per miracolo a scorgere in lontananza, alla fine del vagone, uno di quei posti da quattro sedili completamente liberi. Per intenderci, sono quei sedili messi di fronte a due a due come nelle pizzerie, che vanno benissimo se si è da soli o in due perché ci si può stiracchiare le gambe e allargarsi coi borsoni, ma diventano imbarazzantissimi quando si è costretti a guardare in faccia gli altri seduti davanti (e allora si finisce con lo scrutare  fuori dal finestrino). Dicevo, per miracolo ne avevo trovati quattro tutti liberi: dopo una corsa ho anche capito il perché. Accomodatasi sul posto più vicino al finestrino, con aria assorta, c’era lei.

Una cavalletta.

Io la fissavo, lei mi fissava.

Era lunghissima. Il colorito verde stava già un po’ virando al nero, forse era vecchiotta. Girandosi, ha mosso contemporaneamente le zampette e la testolina nella mia direzione, non ho ben capito con quali intenzioni. Al che mi si sono poste innanzi alcune opzioni:

1. Approfittare dei posti liberi e convivere con la gentile passeggera, ma come? Ad esempio creando uno scenario mentale che rendesse la situazione più accettabile. Ci ho provato: dopotutto era solo un animaletto anziano, una nonna cavalletta che prendeva il treno per andare a trovare i nipotini cavallette dopo tanto tempo di lontananza, le mancava soltanto il centrino e gli occhiali tondi sulla punta del… naso (?). L’illusione è durata qualche secondo, poi non ho più retto e ho considerato la seconda scelta:

2. Utilizzare il mio borsone come arma e dare la caccia all’immonda creatura senza esclusione di colpi, ergendo barricate dietro ai sedili, coinvolgendo gli altri passeggeri nel vagone e organizzando una resistenza armata contro il proliferare sfrontato degli insetti di ogni risma nei luoghi in cui io devo passare del tempo. Mentre nella mia mente passavano gloriose immagini di moti insurrezionali, la cavalletta in questione ha allargato le zampine anteriori e si è librata verso le sette sfere celesti, con un salto interstellare da un sedile all’altro – mi è parso anche di sentire una risatina di scherno – e allora ho capito che le insettifere forze del Male stavano prendendo il sopravvento ed avevano risorse maggiori delle mie. Non rimaneva che

3. DARSI ALLA FUGA. Proteggersi con il trench stile scudo e sperare di non vedere la propria anima risucchiata dalla temibile cavalletta – dissennatore proveniente direttamente da qualche oscuro reame malvagio. Sono una vigliacca, lo so. E dire che vivo in campagna e sono sempre vicinissima alla natura.

Ma questo è niente rispetto agli altri deliri avvenimenti nel Magico Mondo Ferroviario.

Sono seduta tranquillamente al mio posto, quando comincio a sentire uno strano odore nell’aria (ricordate, ho il naso particolarmente sensibile). Attenzione, non pensate subito male, era quasi gradevole, una specie di odore da rosticceria. Sul momento mi stupisco, perché non è il genere di atmosfera tipica da treno. Ed ecco che vedo salire una signora sulla quarantina, con l’aspetto di una che ha passato quattro giorni consecutivi ad un concerto di Marilyn Manson ed è scampata ad un lancio di motoseghe accese. Ovviamente si siede vicinissima a me, e quando scorgo la sportina che ha in mano i miei sospetti prendono tragicamente la forma della realtà: è da lì che proviene l’odore.

Odore di pollo.

Odore di pollo arrosto.

Pollo arrosto che viene diligentemente tolto dalla busta, aperto a mano, dissezionato, arraffato per la coscia ed addentato mentre io spero ardentemente che nel vagone sia presente qualche vegano per godermi lo spettacolo in diretta.  Purtroppo però rimango l’unica spettatrice per una ventina di minuti, finché non torno a casa e – voi non ci crederete, ma è tutto vero – non mi viene offerto dell’ottimo pollo arrosto caldo caldo. Non ricordo benissimo cosa mi sia successo negli attimi successivi, forse un annebbiamento o qualcosa del genere.

E infine, il meglio per ultimo.

Il viaggio in treno si presenta stranamente normale, e questa anomalia dovrebbe farmi prevedere le disgrazie successive, ma ingenuamente appena arriviamo in stazione sono contenta:  il treno è in orario, c’è il sole, non ci sono stati intoppi. E qui casca l’asina, cioè io. Succede che quando il mezzo si ferma e si accendono le lucine verdi per poter aprire le porte, queste rimangono ostinatamente chiuse. C’è una signora sulla cinquantina vestita da sciura milanese che continua violentemente a premere il bottone con il pollicione, come se la vita e la morte dipendessero da quel gesto. Fa segno a noialtri passeggeri del vagone – circa una ventina- che le porte non funzionano e quindi bisogna uscire dall’altra parte. Sollevati, i primi passeggeri dall’altro lato si ingegnano per aprire le altre porte. C’è solo un problema: non vanno nemmeno quelle.

Un brivido silenzioso passa per le nostre schiene, mentre attraverso i vetri vediamo le persone che tranquillamente escono dagli altri vagoni funzionanti, come se niente fosse, dandone per scontata la normalità. Sono piuttosto frustrata, ma ancora piuttosto calma, anche perché un signore dichiara “Aspettiamo qualche minuto, sicuramente verranno ad aprirci”.

Passano due minuti. Chi si era alzato in piedi è tornato a sedere. Un signore vestito in maniera formale tira fuori l’ iPhone e seccatissimo comincia a sbraitare “… persa la coincidenza con l’autobus… ritardo… in ufficio…”. Non lo prendo come un buon segno. Qualcuno bisbiglia “Siamo in Italia… proprio… non sarebbe successo”.

Passano cinque minuti. Infilo le cuffiette dell’Ipod e in modalità casuale mi esce la colonna sonora di Lady Vendetta: tutto è sempre più inquietante. Non sono vestita abbastanza sportiva per una situazione come questa. Ad un certo punto un giovinastro nel centro del vagone, ad alta voce, scandisce “Qualcuno prenda lo spaccavetri! Usciamo dal finestrino!”. Tutti girano il viso dall’altra parte.

Passano dieci minuti. Comincio a studiare le persone che si ritrovano a condividere il mio destino: è chiaro che ormai sarà questione di secondi e ci ritroveremo con un collare esplosivo addosso, tipo in Battle Royale, oppure una voce dagli altoparlanti ci dirà “Possa la fortuna sempre essere a vostro favore… e felici Hunger Games a tutti!”. In ogni caso, ci sarà solo un vincitore, colui che eliminerà tutti gli altri. Mi guardo attorno, e capisco che a parte qualche panciuto signorotto di mezza età, le ragazzine ancora più esili di me e un paio di vecchiette facilmente evitabili, sono messa male. Sono praticamente spacciata. Il ragazzotto dello spaccavetri mi potrebbe stendere con un pugno. Non parliamo degli uomini adulti nel pieno della forza. Non sono nemmeno più allenata a tirare con l’arco.

Passano dodici minuti. Il delirio. Nel vagone si alterna il silenzio più assolto alla caciara più assordante. Cerco di scoprire i punti deboli degli altri nel caso finissimo nell’Arena. Qualcuno ogni tanto fa un disperato tentativo coi bottoni delle porte, cerca di attirare l’attenzione di chi sta fuori, ma i passanti sono ai binari lontani. Altri si sono ormai arresi, rassegnati al destino che ci aspetta, e si atteggiano come se stessero facendo un pisolino. Nel profondo, stiamo tutti cercando di pianificare strategie di battaglia adattandoci agli altri presenti. Ripenso per un attimo allo stato di natura, faccio classifiche mentali su chi fra noi è il più debole e il più forte, mi chiedo fra quanto si passerà al cannibalismo. C’è chi inizia a parlare di politica: decido che inizierò a mangiare le persone dando la priorità ai fanatici. Forse qualcuno ha una bottiglietta d’acqua, che io  ho stupidamente dimenticato a casa. Dovrò cercare di rubarla. Ripenso ai miei familiari e mi intristisco.

Passano quindici minuti. Un addetto della stazione, pacifico come non mai, viene ad aprirci.

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Bisogno di evadere

10 martedì Gen 2012

Posted by LadyLindy in L' attualità vista da un'adolescente, Pensieri di sfuggita

≈ 28 commenti

Tag

2012, adolescenza, alcolismo, clammmag, coglioni, discoteca, Facebook, Italy, stress, vita quotidiana

Intanto vi linko il mio ultimo articolo su Clammmag, che parlerà di cinema e danza fusi assieme… sappiate che non leggere gli articoli di Clammmag equivale a peccato mortale per qualsiasi religione, ateismo compreso, quindi c’è il rischio di finire all’inferno per l’eternità.

E poi buon anno, ché questo è il primo post del 2012 e mi ero già scordata.

Questo bisogno di cui parlo nel titolo sembra aver preso molto piede ultimamente, anzi, in realtà è già da tempo lo sport nazionale per eccellenza. Ma l’evasione di cui parlo io non c’entra un pheeco con quella dei famosi perla pirla delle Dolomiti, si tratta piuttosto della voglia di lasciar perdere tutto.  E smettere di programmare, di avere sempre date e cose e fatti e persone e numeri. Vorrei fare una bella piazza pulita e tenere solo quello che merita davvero… chissà, magari riuscirò veramente a mettermi il cuore in pace. Ooh baby, don’t say no, say maybe.

Mi rendo conto che questo post è iniziato male, sarà la poca ispirazione, sarà che sta ormai prendendo la forma di “diario paranoico da adolescente” che cercavo disperatamente di evitare. Ma ormai ci siamo, e non potevo mica lasciarvi qui senza scrivere per così tanto tempo, chissenefrega se sono un mal di testa con me attorno. Avrete capito che sono in uno di quei momenti “misantropia portami via” e odio tutti e tutto. Una delle cose che ultimamente mi dà più da pensare è la tremenda mania dei miei coetanei, parola che ormai ho già reso sinonimo di coglioni al 90%, di bere come automobili senza benzina.

Una volta avevo già parlato del fumo, e quindi continuo (ma sarò breve perché il letto mi reclama, non faccio in tempo ad uscire da scuola che il sole tramonta deprimendomi) sull’ala bacchettona-vittoriana: trovo che l’alcool fra i giovanissimi sia ancora più sottovalutato del fumo. In quella che è ormai una cloaca, chiamata Facebook, non è raro trovare ragazzine vantarsi di quanto è figo ubriacarsi e sboccare ogni cavolo di sera, sennò che vita è, sennò che divertimento potrà mai esserci, sennò che palle.

A loro e a quelli/e che invece “reggono meglio”, che fanno finta di indignarsi per l’alcolismo poi sono pure peggio, che si sentono grandi bravi belli furbi, che parlano male dei 12enni in discoteca poi dimostrano la maturità di uno scopettone Swiffer, auguro di andare a cagare in un campo di ortiche mentre le pulci divorano ciò che resta del loro piccolo cervello. Avranno ben misero pasto.

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Il colore della saudade

15 mercoledì Giu 2011

Posted by LadyLindy in Dato che a scuola ci vado pure io..., Pensieri di sfuggita

≈ 15 commenti

Tag

Amália Rodrigues, fado, Mafalda Arnauth, pensieri, Porto, Portogallo, Portugal, saudade, Simone de Oliveira, vita, vita quotidiana

Voleva essere una dedica ad una persona che dire speciale è poco. Sia benedetto il giorno, il mese e l’anno che la incontrai.

Meus lindos olhos, qual pequeno deus
Pois são divinos, de tão belos os teus.
Quem, tos pintou com tal condão
Jamais neles sonhou criar tanta imensidão.
De oiro celeste,
Filhos de uma chama agreste
Astros que alto o céu revestem
E onde a tua história é escrita.
Meus lindos olhos, de lua cheia
Um esquecido do outro, a brilhar p´rá rua inteira.
Quem não conhece o teu triste fado
Não desvenda em teu riso um chorar tão magoado.
(Mafalda Arnauth – Meus Lindos Olhos)

Se il giallo è il sole, il rosso è la passione, il verde è la speranza… il blu è, di sicuro, il colore dell’introspezione. Non è un caso che mi soffermi proprio su questa tinta, e non è un caso nemmeno che nel jazz (e, appunto, nel blues) siano le note dette “blu” a dare quel tocco di nostalgia e malinconia. Ecco, tutto questo discorso allegro per arrivare ad una certa sensazione che mi sta riempiendo la testa e il cuore, che non posso descrivere a parole, se non con un termine portoghese davvero eufonico… saudade.

Non so come tradurlo, del resto non ci riescono nemmeno quelli più esperti di me, e nel mio caso può benissimo definirsi come un insieme di tante sensazioni differenti che formano questo complesso sentimento, come tante perle infilate a formare una collana. E’ quando la mancanza si nota più della presenza, quando il silenzio è più assordante del rumore, quando scopri che i tuoi pensieri si rispecchiano benissimo in un tipo di musica struggente e (anche stavolta) indescrivibile: il fado.

Sto ascoltando a manetta pezzi di Amália Rodrigues (la fuoriclasse, che disse “Il fado non è né allegro né triste, è la stanchezza dell’anima forte, l’occhiata di disprezzo del Portogallo a quel Dio cui ha creduto e che poi l’ha abbandonato: nel fado gli dei ritornano, legittimi e lontani… “), Simone de Oliveira, Mafalda Arnauth… e proprio in un fado di quest’ultima, passato così per caso, con quell’atmosfera che solo la lingua portoghese sa donare e solo i vicoli di Lisbona e Porto possono mostrarci, ho ritrovato il motivo profondo della mia saudade. La nostalgia, il dolore di non avere vicino a me una persona con gli occhi “d’oro celeste” (cosa dicevamo a proposito dei colori?), dipinti da una divinità che di sicuro “non immaginava di creare tanta immensità”… occhi “figli di un ardore selvaggio, astri che si stagliano alti nel cielo, e su cui sta scritta la tua storia”.

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Ci sono cose che non capisco

10 venerdì Giu 2011

Posted by LadyLindy in L' attualità vista da un'adolescente, Pensieri di sfuggita

≈ 29 commenti

Tag

Caparezza, cose che non capisco, domande, Italy, Johann Pachelbel, Katy Perry, notizie, pensieri, vita, vita quotidiana

 

Perché in televisione si parlano sempre tutti uno sull’altro? Perché quando io arrivo in ritardo gli altri sono in anticipo e quando io arrivo in anticipo gli altri sono in ritardo? Perché sono l’unica persona di tutta la classe che una mia perspicacissima compagna non riesce a comprendere? Perché si dice “fumare come un turco”? Voglio dire, non saranno mica tutti dei fumatori così incalliti. Perché quelli che odiano gli immigrati poi ne vanno a pregare uno in Chiesa? Perché un uomo che ha successo con le donne è un figo, e invece se è una donna è una puttana? E, per stare in tema, perché alcune prostitute faticano a vivere e guadagnano una miseria (che non rimane nemmeno a loro), mentre altre fanno esattamente le stesse cose per 3000 euro a sera? Perché vedo quotidianamente così tante facce di merda? Perché ho paura dell’estate? Perché le mie tonsille credono di poter avere vita propria? Perché ci sono ragazze che si mettono 3kg di fondotinta ceronato arancione, e lasciano il collo bianco con effetto maschera di Carnevale? Perché con il 90% degli autisti in pullman sembra di stare sulle montagne russe? Perché, quando ti piace qualcuno, ovviamente è già impegnato (non penserete che stia parlando di me, eh… hahahaha… aspettate che mi faccio aria agli occhi)? Perché Katy Perry è più conosciuta di Johann Pachelbel? Perché non mi lasciano andare a votare, nonostante la mia minore età? Lo farei molto meglio di tanti maggiorenni. Perché mi sento diversa? Perché mi piace sentirmi diversa? Perché certa gente continua a fare il suo lavoro e invece altri non lo fanno?

Perché mi faccio così tante domande?

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A volte la quotidianità è più avventurosa

01 mercoledì Dic 2010

Posted by LadyLindy in Dato che a scuola ci vado pure io..., Pensieri di sfuggita

≈ 26 commenti

Tag

adolescenza, attualità, burocrazia, Italy, noia, pensieri, racconti, ritardo, scuola, sportelli pedagogici, vita, vita quotidiana

Piccola premessa: se fra un po’ di tempo non mi vedrete più nel blog, se per caso dovessero uscire notizie inquietanti su una certa sedicenne o roba del genere, sappiate che qualcuno che non doveva leggere questo post l’ha letto. E mi hanno sospesa da scuola o torturata spietatamente. Quando imparerò che Internet è cosa pubblica?

La scuola dovrebbe prepararci alla vita, no? Appunto. Nella mia scuola hanno preso questa missione molto seriamente: conoscendo l’italica quantità di burocrazia e scartoffie inutili, la lentezza degli uffici, l’inaffidabilità di chi dovrebbe fare dell’affidabilità  il proprio mestiere e blablabla, si sono immediatamente adeguati. Mica potevamo fare gli snob e avere un minimo di segreteria che funzionasse.

Peccato che questa magnanimità nel voler raggiungere gli standard nazionali porti qualche problemuccio. Spiegazione dovuta: nel mio istituto arancioblù stile ristorante di pesce (manca solo l’acquario con aragosta), esiste questa cosa tanto carina chiamata sportello pedagogico – d’ora in avanti SP per comodità. Uno può fermarsi dopo la scuola per una spiegazione extra, se ha bisogno di rimettere a posto le idee o perché sì. Io faccio parte di quelli che vogliono fermarsi perché sì. Vabbè, un po’ lo sapete già… lo avevo scritto che ci hanno tolto una Prof con la P maiuscolerrima. Quale migliore occasione per fermarsi e discorrere un’oretta sui massimi sistemi con lei e altri eletti? Bene.

Vuoi che per gli SP servono dindini sonanti, e sappiamo a che livelli sia messa la scuola pubblica ultimamente, vuoi che bisogna trovare una congiunzione astrale favorevole, ho dovuto aspettare mesi per essere in condizione di agire. In questi ultimi 2 – 3 giorni, grazie all’avventura che vado a narrarvi, ho imparato molto sulla burocrazia.

Tappa 1: Finalmente si trova il giorno e la compagnia. Per prenotarsi negli SP bisogna scrivere una sbudrega di dati in un foglietto che, secondo regolamento, dovrebbe essere messo a disposizione dalla segreteria da lunedì ore 8 a giovedì ore 11.30. Lunedì, otto spaccate, sono davanti alla bacheca, ma non c’è il becco di un foglio. Manco uno straccio di biro. Forse dovrei prendere qualche lametta e prenotarmi scrivendo col sangue, come nei giuramenti di mafia. Decido di rimandare le soluzioni drastiche e tornare alle 10.30, quando sempre secondo il famoso regolamento dovrebbe aprire la segreteria (sì, non apre con il resto della scuola, ma due ore e mezzo dopo. In compenso chiude a mezzogiorno).

Tappa 2: Dieci e tre quarti – concedo un quarto d’ora, visto come sono buona? – mi presento davanti alla segreteria con le migliori intenzioni. Motivata e scintillante. Davanti a me, serranda abbassata. Penso rapidamente a qualche modo per aprirla, se non con le buone, almeno con le cattive ché c’è più gusto.

Dopo aver raccolto il sale che avevo seminato nell’attesa, finalmente un’apparizione mistica: la serranda, piano piano buono buono, si solleva. Un coro di angeli biancovestiti intona Alleluja, Alleluja mentre mille colombe svolazzano attorno a me e alla persona che dovrebbe darmi un semplicissimo, fottutissimo foglietto. Dopo un surreale colloquio con la tipa della segreteria, una con la faccia da mamma d’altri tempi impegnata a cucire e far la polenta, apprendo che la tabella per gli SP arriverà il giorno dopo verso le 11.30, perchésaidevearrivaredallasuccursale. Sorrido come se mi avessero detto che ho vinto il Nobel alla nascita, sperando che la suddetta mamma d’altri tempi finisca stritolata nelle mie fossette.

Tappa 3: Il tutto arriva sì il giorno dopo, ma circa due ore in ritardo. E fra i cognomi dei prof che faranno SP, noto con sconforto che non c’è il Suo.

Grazie al Cielo io e le mie compagne di sventura riusciamo a parlare con La Prof, e scopriamo che… non si sa perché il Suo cognome non ci sia. Altri sbarellamenti in giro per l’istituto arancioblù, con La Prof che deve andare alla santa segreteria per dire di correggere. E intanto la bile si muove, si aggira indisturbata per l’organismo, organizza festini clandestini nell’apparato digerente. E il tempo passa. Siamo già a mercoledì e domani mattina il foglio lo tolgono, cento euro che quello lo fanno in tempo solo per far dispetto.

Tappa 4: Passano le ore, si ritorna a controllare. Nada de nada, il foglio è ancora come prima. Io devo correre sennò perdo il pullman (prima o poi scriverò anche riguardo a quello). Due parole d’intesa con la compagnia che condivide con me quest’odissea, e decido di far di testa mia. Biro alla mano. Cocciutaggine nell’altra. Correggo io e, come direbbe Guccini, a culo tutto il resto.

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Vento e mare

18 domenica Lug 2010

Posted by LadyLindy in Pensieri di sfuggita

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Tag

cose che mi piacciono, mare, pensieri, poesia, sorriso, vento, vita, vita quotidiana

Qualsiasi vento è vento di mare,

e qualsiasi città, anche la più continentale, nelle ore di vento –

è marittima.

C’è odor di mare, no, ma: c’è aria di mare, l’odore lo aggiungiamo noi.

Anche il vento del deserto è di mare,

anche quello della steppa è di mare.

Giacché al di là di ogni steppa e ogni deserto –

c’è il mare, l’oltredeserto, l’oltresteppa…

Ogni viuzza in cui tira vento è la viuzza di un porto.

(Marina Cvetaeva)

Dopo tanta afa da togliere il respiro, svegliarsi e uscire in balcone, con le tendine bianche che danzano, sentire una folata fresca di vento che ti avvolge, respirare la luce mattutina e finalmente ritrovare il sorriso.

Lo stesso sorriso che mi regala la vista del mare, il mio amato mare, che porto sempre nel cuore. E trovare la giusta poesia che esprime le mie sensazioni.

Buona giornata.

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