Certa gente sa sistemarsi i capelli. Certa gente dice alla propria chioma di andare da qualche parte, e quella ci va. Incredibile. I capelli sono qualcosa di importantissimo e imprescindibile: dicono un sacco di cose. Per questo considero altamente fortunate le persone di cui sopra, quelle che dominano la loro testa, non quelle che ne sono dominate come me.
I miei capelli sono quanto di più indefinito possa esistere al mondo. A volte mi sembra quasi che non abbiano personalità, né corti né lunghi, né mossi né lisci, né ricci né piatti… altre volte invece mi pare ne abbiano anche troppa, tanto che decidono loro al posto mio: vanno dove vogliono. E senza una minima logica.
Non posso nemmeno permettermi di studiare delle contromosse, per dire, perché non è che prendano lo scapellamento a destra (cit.) se io li spazzolo a sinistra e viceversa, comportamento che implicherebbe comunque una certa coerenza e prevedibilità. No. Loro sono imprevedibili e anche un po’ stronzetti. Un giorno vanno all’insù, l’altro in giù, di qua o di là, metà da una parte e metà dall’altra, col ciuffo basso o spalmato a banana sulla testa, eccetera eccetera.
Allora m’incavolo. Mi girano le ciribiricoccole e comincio a lambiccarmi sulle varie soluzioni. Mi vengono in mente migliaia di acconciature splendiderrrrrime per tenere alla bada il tutto, con laccetti, farfalline, fiorellini che metterebbero in difficoltà pure il mitico Léonard di Versailles. Sogno di poter finalmente trovare un taglio che mi stia bene, che mi dia quell’essenza vintàg, sciccosa, setosa, splendidosa.
Poi mi scontro con la dura realtà, e cioè che io sul cranio ho una tana di lontre di fiume, un plaid autunnale color castagna, a volte addirittura una secchiata di lumache. Così entro nel periodo “adesso me li faccio crescere, si allungano e vengono i boccoli (seeeee, HA-HA-HA-HA, al massimo saranno linguette di sterpaglia), così poi raggiungerò l’obiettivo massimo dopo il quale c’è solo il Nirvana: farmi una treccia come il Cielo comanda.” Non so voi, ma la romantica semplicità di una treccia è qualcosa che mi fa impazzire. Ebbene, in questo periodo ci sono anche adesso (si ripresenta ciclicamente), sto raggiungendo dei risultati piuttosto soddisfacenti, pensate che l’altro giorno sono addirittura arrivata a quattro (quattro!!!) arrotolamenti di treccia alla francese. Poi l’ultimo tratto delle ciocche faceva un ricciolino all’insù che sembrava il becco di un’avocetta.
Comunque so già che poi, arrivati ad una certa lunghezza, anche questi capelli mi stancheranno e mi piomberanno sugli occhi: così io mi incavolerò ancora, correrò dal parrucchiere disattendendo ai miei buoni propositi di non metterci più piede, mi delizierò di articoli giornaleschi tipo “Scopri se sei pagata quanto vali” (se il parrucchiere è avanti e ha Glamour) o le ultime trovate di Signorina (se è uno sfighè con i giornaletti trash). Il suddetto hair-stylist, come dice chi parla bene, mi costerà venti occhi della testa e il deturpamento semi-eterno del viso. A quel punto però i capelli saranno troppo corti, io m’incavolerò di nuovo, li lascerò crescere un’altra volta ma mi pioveranno sempre sugli occhi, quindi tornerò dal parrucchiere e inorridirò, e…..
La follia della donna quel bisogno di scarpe che non vuole sentire ragioni cosa sono i milioni quando in cambio ti danno le scarpe?
(Elio e le Storie Tese – La Follia della Donna)
Tempo di alleggerire il patrimonio familiare, ovvero di fare shopping con la mia scarcagnata Banda del Buco (d’ora in poi BDB). Una delle autorevoli esponenti se ne esce che ha bisogno di un paio di scarpe, il che equivale all’emanazione di una condanna a morte, perché ci costringe ad entrare nel Negozio della Dannazione. Nei Negozi della Dannazione hanno un modo speciale di mettere le scarpe, sarà la luce, ma sembrano tante piccole veneri di Giorgione addormentate, aspettano solo una fagiana dal portafogli gonfio per svegliarle.
Ed è proprio lì che vedo l’emblematico oggetto, fonte di tanto cogitare. Un paio di decolletées così nere, così lucide, così eleganti ed infiocchettate… non posso fare a meno di fiondarmici come un orso sul miele. E arrivo alla conclusione che è un’ingiustizia! Se può indossare le decolletées Ela Weber, una stangona alta come l’Empire State Building, non vedo perché non posso io, che al cinema potrei facilmente passare come un’ 11enne e pagare il biglietto ridotto (sono troppo, troppo onesta per farlo). E’ facile: compro un paio di taccazzi, magari non proprio il 12, ma che almeno mi diano un’altezza da cui poter esser vista anche dagli esseri umani, e non solo dai basset hound. Ci cammino un po’in giro, ci faccio l’abitudine, non sarà mica sta gran cosa, poi non devo indossarle sempre, solo nelle grandi occasioni… voglio dire, c’è anche gente che ci balla, la Germanotta ne mette dei modelli armadillati e swaroskati che farebbero impallidire il presidente dell’Associazione Universale Feticisti (ti adoro sempre, mister Alexander McQueen, RIP RIP RIPpissimo!), e io devo rimanere qui a guardare le 13enni pornobimbe che fanno le tacchettine (cit. Il Diavolo veste Prada) tactactac in giro per il mondo? Ma non scherziamo.
Il ragionamento in teoria non fa una piega, anche se sinceramente mi sento parecchio a disagio. Mollare le sempiterne ballerine, così rassicuranti, vintage e tenere, ma ormai talmente sfondate che potrebbero essere usate come scialuppe di salvataggio per il Titanic. Mollare le leggendarie Converse, simbolo di un’età, che ormai hanno la scritta dietro somigliante all’insegna di un bar di periferia degli anni ’20 chiuso da otto generazioni e lasciato marcire, il bianco della punta è diventato maròn quaglia, e poi io in estate i calzini li mando volentieri a quel paese perché non sono appassionata di pesca, perciò non ho bisogno di fabbricarmi i vermi. E mollare le comode gladiators da peplum remake di Ben Hur, che staranno bene coi miniabiti, ma lasciatemelo dire, sotto i jeans (magari attillati) hanno l’effetto di un rutto di cervo. Sì. Sia resa gloria ai tacchi. Alla fine tutto scorre, anche il tipo di scarpe…magari tirare in ballo zio Eraclito per giustificare la mia voglia di tacchi è un filino esagerato, ma la colpa principale è da attribuirsi al seguente dialogo edificante con un’altra membra onoraria della BDB…
LadyLindy: “Quasi quasi mi compro il primo paio di tacchi…”
Membra: “Ma sei sicura…? Ci sai camminare sopra?”
LadyLindy: “No, ma devo imparare! Non potrò mai fare la hostess senza! Hai mai visto una hostess camminare sulle babbucce FlyFlot?”
Membra: “Tu non hai mai voluto fare la hostess.”
LadyLindy: “Và a caghèr.” (Trad. anche se si capisce benissimo = vai a cagare.)
Dato che gli scarsi incoraggiamenti non fanno altro che rendermi più incaponita, provo le famigerate decolletées sotto lo sguardo vigile della commessa detta anche “dinosauro che non sa di essere estinto”. Mi viene richiesto, con gran sprezzo del ridicolo, di muovermi. Ovvio. Tutti fanno qualche passo quando provano le scarpe. Io no. Ho letteralmente gli arti in sciopero. Mi sembra di essere rimasta pietrificata alla vista di un pazzoide serial killer col coltello verso di me… queste non sono scarpe, sono montagne russe spietate. Presto, datemi un sacchetto per respirarci dentro, o in alternativa per sfogare la nausea. Intanto la compare della BDB se la ridacchia, memore dei suoi dubbi di prima rivelatisi fondatissimi – un affronto che andrà lavato con l’EstaThe alla pesca.
E ora, ridatemi le ballerine, che è meglio restare coi piedi per terra.
Da oggi avrete la possibilità di vincere un fantastico ghivauài del blog Vita In Pillole! Visto che tutti lo fanno, tutti regalano, tutti sono così fantasticamente generosi, ho pensato: ma perché no! Anche io ho i miei 0,25 lettori da accontentare! E allora…
Vi offro uno splendidissimo paio di pantofole firmato Crogs, assolutamente vintage e per di più con macchie di cioccolata calda e peli di criceto che lo rende magnificamente vissuto e grungy… è uno splendore… peccato che non ho la foto… ma non è finita qui!
Vi regalerò anche una splendiderrima collana Scianèl in puro legno a millemila carati, davvero a-m-a-z-i-n-g, con allegato il fattorino di Ebay Kazakistan a farvi firmare la ricevutina! Non è meraviglioso?
Ma come avere tutto questo? E’ facilissimo! Innanzitutto dovrete commentare ogni mio singolo post per 20 volte (i commenti non devono essere inferiori alle 15 righe ciascuno), poi metterlo fra i preferiti, dire in giro che questo blog ha millemila milioni di visite al giorno (così i giornalisti mi intervistano), seguire questo blog con tutti gli aggregatori possibili e quelli ancora non inventati, seguirmi su feissbùc (che non ho), inviarmi la vostra e-mail, indirizzo, telefono, numero di carta di credito, conto corrente, cognome da nubile della vostra bisnonna. Tutto questo lo faccio per voi, cari lettori belli, mica perché voglio più visite al blog. Ma cosa vi viene in mente…!
Ovviamente non esiste nessun ghivauài, per chi non lo avesse capito. Non ho mica il conto in banca di Billino Gates. E non sono brava con certi mezzi per ottenere più visite.
E’ molto strano: mi sono sempre chiesta cosa sia, stringi stringi, lo stile. La moda è una meravigliosa cavolata, lo sappiamo, ma lo stile no. Lo stile è l’espressione di se stessi e della propria personalità, di cosa ci piace, in una parola di noi. Ti piace vestirti sempre di blu? Perfetto: se il blu rispecchia la tua personalità, usalo finché vuoi. Chi sono io per impedirtelo.
Quello che non capisco è tutto l’ambaradan ruotante attorno alle grandi griffes. Io non so mai cosa pensare: a volte mi dico che se qualcosa ha quelle letterine stampate sopra sarà sicuramente di grande qualità e varrà un fracco di quattrini, salvo poi scoprire che una borsettina Prada viene venduta a prezzo-stipendio nelle boutiques ma prodotta da clandestini sottopagati e in nero a Napoli. A questo punto, entrare in un monomarca ultrasnob (perché sono tutti così, alla fine) o comprare alle bancarelle del mercato mi dà la stessa (scarsa) sicurezza sul prodotto, con l’unica differenza che per comprare un foulardino di Hermès devo accendere un mutuo.
Mi fanno assai ridere, inoltre, tutte quelle pischerle che si indignano dei prezzi inaffrontabili di certe marche, dicendo che alla fine sono oggetti come gli altri e una firmetta non importa niente, per poi sbattere a destra e a manca la borsetta malamente taroccata, comprata dagli abusivi. Le case di moda, come avevo già detto qui, sono veramente poco attente alla gente che vive nel modo, perse in interessi multimiliardari, impegnate a manipolare la stampa e comprarsi i giornalisti, a reclutare modelle con metodi ignoti (fino a un certo punto), a fingersi contro l’anoressia mentre scheletri “viventi” zompano in passerella.
Loro sono contro l'anoressia. Come, non si vede?
Per questo, dopo aver capito che fra gli stilisti “veterani” non rimane nulla che sia lontanamente paragonabile alla creatività e al talento, ma solo qualche guaio giudiziario, avevo accolto con gioia il boom delle fashion bloggers come una sorta di ondata liberatoria dall’egemonia malata della grandi griffes, magari per vedere qualche esordiente un po’ diverso, magari per scoprire che per avere stile non bisogna per forza essere tutte scianelluivuittonverauang eccetera. Qualche fashion blog di qualità l’ho trovato, infatti, come The Sartorialist, The Street Fashion, Le blog de Betty, Karla’s Closet, Tokiobanhbao, Rejecting the obviousness e altri; ma poi ho avuto la sfortuna di imbattermi per caso in una certa insalata ossigenata. Lei è Chiara Ferragni, e ha la pretesa di definirsi fèscionblogger più famosa d’Italia, ma che dico d’Italia, di tutto il mondo, dell’Universo, del Creato e del non Creato. Grazie al cielo qualcuno su Facebook non si fa incantare (qui e qui). Vi chiederete che cos’ha di diverso dalle altre bloggers che me la renda tanto antipatica. Innanzitutto, è una rossa cremonese, ma evidentemente il rosso tiziano non è abbastanza fèscion, così ha deciso di spacciarsi per bionda naturale milanese (anche se in realtà arriva direttamente dal mondo Mattel). Bocconiana perfetta, si definisce “studentessa” quando in realtà sui libri non la si vede mai, con gran sprezzo degli studenti che si fanno un mazzo tanto. Le sue fans la idolatrano come una dea scesa in terra, e a giudicare dalle tonnellate di giornali che parlano di lei a tutto spiano deve essere proprio un’ icona di stile degna di Gabrielle Chanel. Ehm. Quasi. In realtà i suoi abbinamenti non è che abbiano tutta questa originalità, lei pensa solamente a mettere in bella mostra i loghi delle marche, e impiegherà due ore ogni giorno a photoshopparsi, pure malamente (controllate voi al link che vi ho messo su “insalata ossigenata”). Infatti, l’impressione è che quello non sia un vero blog di moda, bensì una specie di santuario autocelebrativo che urla ai quattro venti “guardate com’è bella, ricca, interessante, piena e glamour la mia vita. Mica come la vostra, pidocchi”. Sorvoliamo sul suo italiano da quinta elementare – o scopiazzato da altri siti – e sull’inglese da “senza Google Translate sarei persa”. Senza contare che dalle sue parti continuano a vantare miliardi e miliardi di visite, senza però rendere mai visibile il counter (magari adesso li ha davvero i miliardi di visite, ma all’inizio erano di certo una mossa pubblicitaria). La madama Ferragni, soprannominata dalle Vipere Kiaretta, Ferracne, Ferragna, Ferraglia eccetera, passa da un party all’altro, e… non ci crederete mai… anche al party del Pdl! Sì, dev’essere un retaggio del suo fidanzatino, tipico ragazzo della Milano bene detto anche “Uomo Bancomat”, a cui auguro di non farsi male all’indice a forza di votare il blog della sua Barbie su ogni aggregatore possibile. E magari, passando da un party fighissimo all’altro, provasse a dare un’occhiata agli scheletrini nell’armadio del Sire supremo. Il target dell’insalata bionda è probabilmente lo stesso del programma televisivo Trl, Totalmente Rincoglioniti Live Total Request Live… aspettate un attimo! Ma è proprio lei la biondina che presenta ai Trl Awards 2010? Sì sì! Eccola:
Vi segnalo che comunque ha rimediato anche una orrenda figura con i Dari. Ancora un attimo… ma come ha fatto Chiaretta, nel suo piccolo, a finire in tv? Vabbè che per fare il VJ di MTV, da un po’ di tempo a questa parte, occorre soltanto avere un atteggiamento da “viva i ggggiovani”, e sappiamo tutti che le selezioni sono tenute dal cugino della Pimpa. Però lei non ha nemmeno un minimo di competenza in fatto di dizione e presenza televisiva. Ci dev’essere qualcosa sotto. Ah, ecco! La coppia più bella della Mattel è amica del cantante dei Finley! Da che mondo è mondo, i Finley sono proprio ospiti tipici di Trl, quindi pare che ci sia stata una intercessione caritatevole per lei.
Sempre per quanto riguarda le mistiche apparizioni della Bloggerpiùfamosad’Italia in tv, è imperidbile la chicca del Chiambretti Night (notare la faccia di Misha Barton) in cui si presenta vestita da carnevale dei cavalli Cow Girl:
Ed ecco il commento di qualcuno che ha capito tutto su youtube (per fortuna c’è gente come lui):
A questo punto ci si potrebbe consolare pensando che almeno è onesta. Eh no! Basta indagare un po’ in rete per scoprire che è stata reclutata dalla Fiat per sponsorizzare la nuova 500 assieme al suo fidanzato Ken, ma lei non l’ha nemmeno comunicato ai lettori continuando imperterrita a fare pubblicità occulta. Peccato che tutto si scopra facilmente su Internet.
Concludo dicendo a Chiaretta che è inutile commentare il suo stesso blog con due nickname diversi per difendersi, dirsi aperte alle critiche ma rispondere solo con dei seisoloinvidiosa seigrassissima seitamarra vorrestiesserealmioposto eccetera. Se vuoi diventare famosa, se ci metti la faccia e mostri in Internet tutta la tua vita privata, devi accettare le conseguenze. Sei maggiorenne e responsabile per quello che fai: i trucchetti vengono smascherati facilmente, e in Internet ci si può documentare facilmente. Non sei l’unica ad avere un blog di moda in tutta Italia, anzi molte sono più brave di te. E allora, per favore, se non riesci a gestire la presunta fama (e tutto quello che comporta), meglio lasciar perdere.
Il post è la continuazione di questo, per i più tocchi che non l’avessero ancora capito dal titolo. Fate un bel ripassone.
Putroppo non posso portarmi a casa la biondina, quindi mi rassegno a doverla deludere. “Mah, veramente preferivo qualcosa di più leggero… ecco, ehm ehm ehm…” non abituata ai ritmi frenetici dei fast-food, che come dice il nome stesso sono veloci, me la prendo comodissima manco fossi ad un ristorante tutto caviale e aragosta, però noto che il sorrisone da Joker della signorina si sta incrinando… dietro di me la folla di varia umanità comincia a spazientirsi, va bene va bene, volete avvelenarvi a pagamento e lo volete anche al più presto, non vi bloccherò il traffico.
Mi giro e blatero il primo nome che vedo scritto in un megacartellone, roba che se non sai l’inglese almeno a livello quinta elementare sei fottuto, pensi di ordinare qualcosa e poi ti arriva tutt’altro. Non oso immaginare chi vuole mangiare più di due cose, si ritrova a dover sciorinare uno scioglilingua pieno di c, g e k. Un fiorire di Chicken, Nuggets, Veggie, Piri Piri, Chilli, Tendercrisp, Flurry e altre amenità.
Sinceramente non so nemmeno cosa ho preso, ma la tipa è già lì con un panino in mano (davvero è mio? Ma l’ha preso in mezzo ad un gruppo di scatolette tutte uguali! Chi li ha fatti???). Con sollievo mi accorgo che dentro almeno ci sono un paio di verdure, una fettina di pomodoro e mezza foglia di insalata, meglio di niente. E la mia sgangherata gang con cosa si sta abbuffando? Chili e chili di patatine sintetiche, carne unta e bisunta, formaggio fuso colante, insomma il massimo della salute. A questo punto è arrivato il momento della verità. Mi sento osservata dai santi come Claude Frollo davanti a Notre Dame. Sto impazzendo dalla fame e ormai il panino l’ho pagato. Cheffacciocheffaccio? Mangiare o non mangiare? Mandare a quel paese le proprie convinzioni e divorare o resistere stoicamente per poi uscire di scena con un plateale svenimento da calo di zuccheri? Altro che Amleto. Altro che angioletto e diavoletto sulle spalle di Kronk. I miei compari di disavventure non aiutano di certo, impegnati come sono a chiacchierare di inutilità sputacchiando pezzettini di carne e risate. Provo con l’ultima risorsa di difesa: “Ma come fate a mangiare questa roba? E se poi andate all’ospedale per problemi circolatori?” Risposta di un gran visir della raffinatezza: “Ecchecavolo, ma quante pare che ti fai! E poi se vado all’ospedale almeno mi perdo qualche giorno di scuola, speriamo almeno che ci sia un’infermiera carina.” Non fa una piega, come le gonne di Chanel.
A questo punto, non posso far altro che dare un morso. Un morsettino innocente.
Sgnam. Che il cielo mi perdoni, ma è delizioso!!! Non è umanamente possibile fare un panino con questo nonsoché… sarà il gusto della trasgressione? Eppure, ci dev’essere qualcosa di strano sotto. Non datemi della paranoica, della sospettosa e robe del genere. Magari è il sapore dei grassi saturi. Magari questo hamburger ha la bellezza delle copertine patinate, cioè finta, ritoccata, impossibile da raggiungere per chi non ne conosce i retroscena. Eppure è il modello dominante.
E’ così che divoro tutto avidamente in poco tempo, facendo onore alla velocità che è propria delle cattedrali del nostro tempo. Ancora una volta non siamo noi a cambiare il sistema, ma è il sistema a cambiare noi. Ed ecco che parte il motivetto più seccante di tutta la vicenda, quello dei sensi di colpa. Mi odio. Mi odio profondamente perché ho mangiato frattaglie di animali maltrattati, nutriti a scapito di popolazioni del Sud del mondo, pieni di ormoni e schifezze, in un posto su cui aleggia una strana atmosfera che ti costringe a fare tutto in fretta senza digerire, senza rilassarti.
L’unica via di salvezza per espiare le colpe è diventare vegetariana. Devo dimostrare a me stessa di non avere la forza di volontà di un’alga muschiata. Fanculo a chi dice che alla mia età non va bene perché c’è bisogno di variare. Quando sono entrata al fast-food nessuno mi ha fermato. E adesso siete un po’ colpevoli anche voi della mia crisi mistica (evviva le responsabilità). “Da domani si cambia, per ritrovare la diritta via, per la redenzione” mi riprometto. I soliti buoni propositi stile anno nuovo.
Bene, arriva il nuovo giorno, portatore di nuovo stile di vita. A colazione tutto normale, non c’è nessun demonio tentatore. A pranzo la musica cambia. Mia madre, sia benedetta, convinta di far cosa gradita sforna una tegliazza di lasagne profumate a ventordici strati. Lasagne davvero emiliane, non come quelle che vendono al supermercato. Comprese di besciamella, ragù eccetera.
A Paperoga, che mi ha dato lo spunto per questo post e condivide con me i sensi di colpa da junk food.
Lo ammetto e mi pento. Di più: mi autoflagello come una della Confraternita dei Battuti. Me ne vergogno profondamente. Sì, perché se qualcuno l’ha fatto in veneranda età, e almeno è sicuro di aver passato onestamente la gioventù, io no: sono rovinata già a 15 anni.
Ho mangiato al fast-food. Mi sento male a dirlo. Che tutte le divinità, da Mitra a Krishna passando per Gesù, mi perdonino. Per sicurezza dirò una preghierina anche al Grande Unicorno Rosa. In un solo istante tutti i buoni propositi e i principi morali se ne sono beatamente andati, scusate il francesismo, a cagare. Quando fior di psicologi vi dicono che nell’età adolescenziale l’approvazione del gruppo è importante, fidatevi: mi secca dirlo, ma è dannatamente vero!
Praticamente è andata così. E’ sera. Sono fuori con una strana combriccola di bipedi più o meno conosciuti. Fila tutto liscio, o almeno il liscio che si può pretendere se esci con un nutrito numero di bimbeminchia, un gay represso che per compensazione si atteggia a maschio alfa, un paio di molluschi travestiti da ragazzi e qualche essere mai visto prima. Ma questa è un’altra storia.
All’ora fatidica, comincia a farsi strada fra tutti un certo languore diabolico. Bene. Se non vogliamo fare la fine del conte Ugolino e darci al cannibalismo, prospettiva interessante per un’uscita amichevole, sarà meglio cercare uno straccio di posto qualsiasi per rifocillarci. Il problema è che, già in una cittadina con poco più di 30.000 abitanti, di sabato sera ogni locale esistente è fottutamente pieno. Straborda. Ancora un po’ e devono costruire delle dighe. E intanto la fame aumenta. Pare che l’umanità intera abbia deciso di mangiare fuori proprio quel giorno. In effetti, in periodi particolarmente duri c’è sempre voglia di divertirsi e darsi ai piccoli piaceri della vita, come il cibo.
Peccato che noi, ormai, abbiamo la bava da zombie lunga fino ai talloni. A questo punto, proprio mentre una del gruppo comincia ad annusare un po’ troppo il mio profumo allo zucchero filato, qualcuno azzarda la temeraria proposta. “E se provassimo al Mèc?” E’ in queste occasioni che credo all’esistenza di Satana. Mi sento come Gesù durante i 40 giorni nel deserto, tentato dal demonio. Il Mèc in questione pare, in quel momento, una specie di faro di Alessandria: lontano, luminoso e simbolo di terra ospitale. Il bello è che lì hanno sempre posto. C’è sempre un tavolino, una sedia, alla peggio uno sgabello. Chissà perché. Comunque, tutta la banda del buco di cui mi onoro di far parte si rianima all’improvviso, sfamata al solo nominare il fast-food (potere placebo), pensando che almeno mangiamo in fretta e spendiamo poco.
Ora. Voi crederete che nei gruppi, anche se di giovani, esista una sorta di “democrazia”, o per lo meno una messa ai voti delle decisioni più importanti (se permettete, decidere dove mangiare mi pare importantissimo). Bè, scendete dal pero. Già che a stomaco vuoto si ragiona male, io rimango l’unica a fare resistenza. Le tento tutte: sit-in, sensibilizzazione, resistenza passiva, sciopero della parola (controproucente – ne sembravano felici), incatenamento a lampione. Sforzi vani. Io punto al loro cuore, loro si curano solo dello stomaco. Così ci avviciniamo al tempio della superiorità occidentale, mentre mi sento assai a disagio. All’angolo, un gruppetto di cinnetti sta festeggiando un compleanno, immerso in palloncini e stelle filanti. Sorridono, gioiosi e sdentati. Chissà da quanto sono abituati a mangiare lì. Riluttante, mi metto buona buona in coda per la personale dose di veleno a pagamento. Al mio turno, la deliziosa signorina bionda che sta dietro al bancone mi sorride, gioiosa ma non sdentata. Poi, ed ecco la parte più inquietante, attacca una manfrina che nemmeno i venditori di cavatappi porta-a-porta. “Ciao! Vuoi provare il nuovissimo Mèc Nonsocosa, con sanissima Mèc carne dop di origine italiana, Mèc insalata igp, Mèc formaggio doc e bla bla bla?”. Ossantoiddio. Si è imparata a memoria lo slogan promozionale e lo deve ripetere ad ogni cliente che arriva, quindi ad occhio e croce un triliardo di volte per serata. Tutto questo senza mai perdere il ghigno innaturale a trentadue denti. Mi viene da piangere. Chissà se le hanno fatto un corso apposta. Magari un lavaggio del cervello completo. Forse ha un floppy-disc inserito nella schiena. Vorrei tanto tirarle una secchiata d’acqua fredda addosso per scuoterla, invitarla a casa mia per un the e magari farla sfogare, così può parlarmi del fantastico Mèc Mobbing di cui è fatta sicuramente oggetto assieme ai suoi colleghi.
Fine prima parte – forse, se le congetture astrali saranno favorevoli, vi racconterò anche la seconda.
Piccola introduzione: mi ero ripromessa di non scrivere nessun post su questi fenomeni – video di cui si hanno tracce già da qualche mese, soprattutto su youtube, per non aumentarne la popolarità…ma stavolta non ce l’ho fatta. Devo sfogarmi.
Signore e signori, le due ragazze che vedete qui sono il tipico prodotto di berlusconismo d.o.p. Attenzione, non ho scritto “prodotto di Berlusconi in quanto persona”, ma “prodotto del berlusconismo in quanto fenomeno di massa”. La ragazza più lontana, quella con il top blu, ha esattamente la mia età (15 anni), mentre l’altra più vicina ne ha 17. Ho il (dis)piacere di informarvi che adesso le pulzelle hanno pure un agente, come le vip(ere), e molto probabilmente i cancelli di sterco dorato della televisione si apriranno per loro come le braccia di un innamorato.
Ma cosa avranno mai fatto queste damigelle, che alla domanda “fareste mai il Grande Fratello?” rispondono “à voglia, à voglia… ma ce vogliò diciott’anni…“, per meritarsi cotanta fama? Non so, sanno parlare al contrario? Fanno le contorsioniste? Imitano i lombrichi? Hanno un’attitudine particolare? Mi accontenterei anche se sapessero rifare l’inno d’Italia con le pernacchie. No. Neanche quello. Si sono limitate a rilasciare un’ intervista che definire stupida e senza alcuna utilità al mondo è poco. Non parlano nemmeno italiano, quella che dovrebbe essere la loro lingua madre, santo cielo. C’è chi le ha definite “simpatiche”. Ora. Voi che le ritenete divertenti, simpatiche e altre amenità del genere, spiegatemi, perché io non ci arrivo. Ma dove sono simpatiche? Dove? Se non siete di Roma non capite nemmeno quello che dicono, quindi come fate a dire che fanno ridere? Non so voi, ma la simpatia per me è ben altra cosa. Non mi fanno ridere, semmai mi fanno piangere. Ho sempre saputo che la maggior parte dei miei coetanei è sempre stata un po’ inconsapevole e poco interessata a tutto quello che concerne la cultura (e anche qui ci sarebbe da fare un discorso lungo mille post), ma gente così pensavo esistesse solo nelle più torbide pensate di Nonciclopedia. E invece eccole lì. Se posso, però, la persona che mi sta più sugli zebedei di tutto ‘sto capolavoro di video è l’intervistatore. Io vorrei vederlo in faccia. Ma cosa ridi? Ride ogni due secondi per delle stupidaggini che farebbero impallidire The Basic Laws of Human Stupidity, fra l’altro emettendo il suono di un cinghialetto agonizzante. Se l’intervistatore in questione sta leggendo qui, cosa che dubito fortemente, non se la prenda: primo perché le cose importanti nella vita sono altre, secondo perché avrei potuto scrivere molto di peggio.
Tutto questo preambolo – più – video era solo un assaggio dimostrativo che attendevo da tempo, per parlare di un problema che mi sta molto a cuore, mi riguarda da vicino. Pensando alla più giovane delle due bonjour finesse, che ha la mia età spiccicata, rifletto e giungo a dilemmi amletici: lei, senza la minima conoscenza della lingua italiana (non pretendo roba alla Umberto Eco, ma almeno i verbi tesoro…), solo per dire che s’è fatta el calippo e la bira, viene ripresa e destinata in un nanosecondo allo star system più sfolgorante, con l’agente / avvoltoio già bello che pronto. Significherà pur qualcosa. Uno non decide di lucrare sulla vita di due ragazzine se non ha un guadagno più o meno immediato. Vuol dire che a una grossa fetta di pubblico questo piace.
Ora voi vi chiederete cosa c’entri tutto questo con la partenza, ovvero con il berlusconismo. E’ presto detto. A parte il fatto che le contessine dichiarano apertamente di guardare solo el cinque e el sei, ovvero Mediaset, e poco Mtv che tanto trasmette solo video musicali (e lasciamo stare la qualità della musica), bisogna concentrarsi sul loro atteggiamento. Così giovani, hanno già capito come gira l’talia. Non fraintendetemi, l’ignoranza è sempre esistita, ma almeno un tempo si era ignoranti inconsapevolmente, oppure si cercava di migliorare la propria condizione intellettuale se si poteva. Alcuni un po’ si vergognavano al cospetto di chi ne sapeva più di loro. L’eredità del berlusconismo, che ha trovato terreno fertile nelle succitate contessine, è il sapere di essere ignoranti, volgari, e vantarsene. Usarlo come punto di forza. Farne un motto. Sembrano quasi gridarlo: “Cosa me ne faccio della cultura e della consapevolezza, se tutti mi vogliono così? Se adesso con una laurea non si trova nemmeno lavoro e io mi ritrovo già popolarissima perché ho sparato due cavolate ad un microfono?”.
A questo punto lancio una specie di appello. Pubblico, italiani adulti, gente. Ci siamo anche noi. Non so quanti, ma almeno un po’. Siamo gli adolescenti che credono ancora che la cultura valga qualcosa. Non siamo talmente superbi da affermare di sapere già tutto, anzi. Siamo curiosi del mondo e vogliamo sempre scoprire cose nuove. Perché l’ignoranza è una trappola, ti credi libero e invece sei più ingabbiato di tutti. Perciò mi dispiace per queste tipette, che già me le vedo fare le pseudotroniste di Maria. Evidentemente in Italia sono apprezzate dalla maggioranza della gente. Ormai però dovreste saperlo: a me le maggioranze non piacciono. Quindi, mi viene da dire, l’Italia sta diventando un paese inadatto a noi adolescenti curiosi. Tenetevi le duchessine di Ostia.