Se siete pigri e volete solo le novità, andate direttamente alla fine del post e saltate le lagnanze.
Ah, l’immagine qui sotto non ha una particolare coerenza con il senso del post (in effetti non ci sarebbe nessun senso da mantenere), è che la trovo molto pheega.
Lo trasformerò in una pulce, un’innocua piccola pulce, poi metterò la pulce in una scatola, e la scatola dentro un’ altra scatola… quindi spedirò la scatola a me stessa, e quando arriverà – ah ah ah ah, la spiaccicherò con un martello! È una splendida, splendida, splendida idea!
(Dal Vangelo secondo Yzma, Le follie dell’Imperatore)
Quando una citazione riassume ciò che hai in mente. E lo so, lo so che alla fine il mio diabolico piano comporterà l’utilizzo di “troppi francobolli” (cit.), ma che ci volete fare.
Purtroppo la primavera, come qualcuno di voi saprà, mi manda in apatia: ciò significa che la massima aspirazione della mia vita è mettere un bel cartello NON DISTURBARE alla porta, buttarmi sul letto con triplo salto carpiato, tirare le lenzuola fino al naso e farmi una di quelle dormite lunghe mesi e mesi, che potrei anche risvegliarmi uomo di quarant’anni.
Una dormita catartica.
Non capirò mai perché la natura, tanto precisina quando si tratta di farci ammalare o darci dolorini vari, non abbia regalato agli esseri umani anche un bel periodo di letargo. Dite che i nostri avi preistorici avevano questa possibilità? L’abbiamo persa con l’evoluzione? Ecco il genere di domande che possono nascere quando una sta troppo tempo a guardare il soffitto invece di studiare fisica.
La verità, letargo o meno, è che mi manca l’ispirazione. Non posso vivere senza essere circondata da arabeschi di pensieri, quelli che spesso mi causano mal di testa lancinanti – oggi per esempio ne ho avuto uno, ma senza l’ingrediente fondamentale del pensiero ingarbugliato: dettaglio infimo ma preoccupante – e invece ultimamente sono una macchina senza benzina.
Anche queste righe, poche per il tempo altrettanto scarso che ho, sono un po’ strane e diverse rispetto l’atmosfera generale del blog. Ma se questa è la vita in pillole, ogni tanto ce n’è da aspettarsene una amarognola, e in tal caso si segue il caro vecchio consiglio di Mary.
A presto…
P.S. Lo so, lo so. Quello che tutti aspettavate: io vi regalo un linkino di anteprima. E ho già detto troppo…
Bene. Andiamo avanti coi filoni dei post di incredibile rilevanza universale. Godeteveli finché potete, perché come avrete iniziato ad accorgervi sono impegnaterrima.
Innanzitutto, per stasera non prendete appuntamenti, prendete un bel plaid in tartan, accoccolatevi sul divano e guardate QUI.
Ma passiamo alle stupidaggini, che ci salveranno. In questo caso specifico, il tema è la cucina. C’è gente che ama mangiare e di conseguenza ama cucinare: per dire, mia madre è fra i fortunati che appartengono a questo gruppo di eletti. Io ovviamente adoro mangiare, e se c’è qualcuno che mi tiene sott’occhio posso anche mettere insieme due fette di pane con un filino di prosciutto. MA. Quando voglio mettermi lì con tanta fiducia, pane amore e logorrea, a spadellare in solitudine o per far piacere a qualcuno… apriti cielo. Sono guai.
E’ che io penso sempre: “questa volta andrà bene, che scienza infusa servirà mai per accendere un fornello, per friggere questo e impanare quello?”… Sè, ciao. Invece devo ogni volta mettermi lì a implorare il perdono divino, per la mia assurda tracotanza nel voler sfidare la Dea del Sacro Focolare. E fa una rabbia urticante vedere che attorno a me ci sono tante wannabe Benedette Parodi (urgh) e qualche baby Gordon Ramsay (Gordoooon so che puoi sentirmi!). Io al massimo faccio la fatona Fauna che spiaccica le uova nell’impasto.
So che a questo punto vorrete qualche resoconto. E chi sono, io, per impedirvi di farvi beffe di me? Che diritto ho per sottrarmi al pubblico ludibrio? Bene, sappiate che tutto partì da un maledetto arancino. E’ da lì che il mio rapporto con gli utensili di Nonna Papera si è fatto burrascoso. Avete presente, no, quei piccoli Pão de Açúcar in miniatura che, invece di essere fatti di roccia come quello a Rio de Janeiro, sono ripieni di riso, mozzarella, prosciutto e altre belle cosine? Ecco. Quelli fatti bene si trovano in Sicilia, ma quando qui in Padania (ora la Lega mi sponsorizzerà il blog) arrivano i banchetti di bei siculi calienti che vendono prodotti tipici, non so resistere. E anche quella volta, me ne comprai uno. Sì, uno solo, perché dovete tenere presente l’associazione 1 arancino = 2 pranzi di nozze con digestivo.
Il siculo caliente mi chiede: “Te lo scaldo o mangi dopo?”. Al che io tento di riprendere il controllo, ormai messo a dura prova dall’allure mediterranea dell’arancinaio, e gli chiedo ingenuamente se è possibile scaldare un arancino al microonde (cari gourmet che leggete questo blog, e in particolare cari lettori siciliani che starete già tirando varie craniate al muro, perdonate l’abominio). E lui tutto fiero risponde un SISISISISISISISI MA CEEEEEEEEERTO FIGURATI SE NON SI PUO’ HAHAHAHA CHE DOMANDA STUPIDA MA COME SI FA A CHIEDERE DELLE COSE COSI’OVVIE e via dicendo. Rinfrancata torno a casa con le papille che ormai ballano il merengue e infilo il cibo nel sacro San Microonde da Whirpool altrimenti detto “il salvatore dei pasti al volo”. Schiaccio il pulsante. Mi metto lì come Linus che guarda la coperta in lavatrice. La crosta si sta dorando. Un buon profumo si spande. Bene, ce l’ho fatta, ce l’ho fattaaaaa, manca poco, tre secondi, due…
BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM.
Fiotti di riso, fili di formaggio, fumo, briciole, cose che non mi ricordo cosa fossero ma di certo somigliavano a occhi di biscia spiaccicati, di tutto e di più fuoriesce dal Dio Microonde Vendicatore che mi guarda con aria di rimprovero per aver osato veramente troppo. E io intanto maledico il siculo caliente bugiardo, l’arancino e tutto il suo composto, il Governo, il Ku Klux Klan, le grandi opere e Justin Bieber a manetta.
Da lì in poi mi sono sempre limitata ad aiutare gli altri, anche perché rischiare di allagare la cucina per mettere a bollire del riso, fare dei soufflè che all’inizio lasciano ben sperare poi sembrano la poltrona a sacco dell’Ikea, bruciare ciò che di bruciabile esiste…non sono esattamente incentivi a continuare. Non so, voi avete mai provato i surgelati freddi? Fatemi sapere, magari non sono così male come li dipingono.
In compenso, però, c’è una cosa che mi riesce sempre bene.
Siamo ufficialmente in orbita. Il missile con me a bordo è stato lanciato. PAF. Il countdown a quanto pare è stato fatto piuttosto in fretta, o a voce molto bassa, perché me ne sono a malapena resa conto. Comunque siamo in ballo e ora dobbiamo ballare, o qualcosa del genere, non ricordo esattamente il proverbio. Per riassumere il mio primo giorno, userò delle espressive ed inequivocabili animazioni che, come mi dicono dalla regia, i più esperti chiamano gif. [UPDATE: pare che le animazioni non funzionino, quindi chiamiamole immagini e facciamo prima]
Suono della sveglia (a proposito, consigli su quale canzone mettere per svegliarmi? Quando avevo lo stage mettevo su questa, che con gli acuti non scherzava):
Colazione:
Primo viaggio in pullman:
E poi, come sottofondo per il mio primo passo da quartina nella scuola, suggerisco il motivetto macabro che mi frullava in testa…
Da questo bel circo è uscito che il numero di prof rimasti dagli anni scorsi si conta sulle dita di un piede (lo so che si dice “di una mano”, volevo fare l’originale). Ci saranno tante facce nuove da conoscere, una materia nuova, un orario settimanale che mi ha provocato una bellissima espressione da WTF?!, le solite fottutissime ore da 60 minuti per farci pranzare all’ora di cena. Come dice il caro vecchio Frollo, “The world is cruel, the world is wicked“. Del resto, la scuola è sempre il ristorante di pesce arancioblù che conoscevo. Mi aspetto sempre di vedere installato un acquario a muro e un maître de saille in frac che chiede quale aragosta vogliamo barbaramente bollire viva. Ah, e i miei sospetti riguardo ad una probabile fornitura segreta di croissants e cappuccino caldi agli studenti del classico sono sempre più fondati.
Particolare (in)degno di nota: la nostra nuova prof di italiano ci ha chiesto tout court di prendere un bel foglio di carta bianco (che io non avevo. Cioè, è il primo giorno e io devo già avere la cancelleria? Stiamo scherzando. Ma tanto farò la mendicante fino a giugno), una biro (che andava a scatti) e scrivere qualsiasi cosa volessimo, che parlasse un po’ di noi e magari chiarisse le nostre considerazioni sul primo giorno di scuola e le aspettative. Mi stava per partire la vena sarcastica, e avevo mezza voglia di scrivere: “Considerazioni: amo svegliarmi la mattina al canto del gallo più mattiniero. La corriera è un jet privato dell’emiro del Qatar con noccioline e New York Times fresco di stampa, per non parlare delle interessantissime lezioni sulle coniche. Aspettative: venire bocciata.” Poi però il mio famoso istinto di conservazione ha prevalso, e passato il blocco da foglio bianco (con il blog però non l’ho mai, perché posso scrivere quello che mi pare… odio avere una traccia da rispettare) ho buttato giù quattro scempiaggini in croce che in quel momento mi parevano lo specchio della mia anima più profonda, di cui ricordo solo queste parole: “emozioni contrastanti”. Roba grossa.
Ma non disperate per me, non strappatevi i capelli che già stavate cominciando ad afferrare, presi dalla lettura delle mie disavventure alla Minnie The Moocher. C’è una bellissima cosa che mi aspetta, e forse qualche mio lettore lo sa/immagina già. Piccolo indizio comprensibilissimo anche da chi non ha visto questo cartone, indovinate:
Che strano luogo… Gerusalemme è una città in cui tutto sembra ordinatamente caotico, come se una divinità capricciosa si fosse divertita a mettere in disordine ma con un senso logico. Tipo Paperoga della Disney, che metteva il sale nel barattolo del pepe, il pepe in quello del sale e i risparmi… in quello dei risparmi. Per le strade la gente si urla scherzosamente addosso, come gli abitanti di un piccolo paesello che si conoscono tutti, l’unica differenza è che questa città conta poco meno di 800.000 abitanti. Tutti sembrano piuttosto allegri, forse per reazione alla situazione difficile che vivono, per esorcizzare quanto di più inspiegabile esista nella nostra breve vita.
E’ meraviglioso vedere, nella stessa città, così tanti e complessi modi di intendere il sovrannaturale e la divinità. Questa è una tappa obbligata per chi, come me, è alla ricerca di quella scintilla di verità che l’uomo non trova facilmente, a volte nemmeno in una vita intera. E’impossibile non sentirsi pervasi da un’impalpabile aura di spiritualità e, oserei dire, misticismo. Si è praticamente costretti alla contemplazione del sacro, che sia una moschea dalla cupola dorata, una sinagoga poco appariscente o una basilica nascosta. Possiamo definirla come una ricerca ossessiva del contatto col divino.
Questo non significa che manchi il profano: anche qui il mercato dei souvenirs, delle immagini sacre, delle acquasantiere eccetera è perfettamente attivo, anche più che a Lourdes. Comunque passare per le viuzze medievali, odorose di spezie talmente mischiate da non riuscire a riconoscerle (sfido pure Jean-Baptiste Grenouille!), con le indicazioni delle strade in arabo ed israeliano, le bancarelle del mercato, la folla, è stato fantastico. E poi, meraviglia delle meraviglie, sono finita in mezzo ad un Bar Mitzvah! Non avevo mai visto una cosa del genere prima! Non so se qualcuno di voi, cari lettori, sia ebreo, ma vi posso assicurare che la suggestione di questa festa è notevole, per chi la sa capire. Soprattutto se lo sfondo è il Muro del Pianto (a proposito, mi aspettavo il figlio della Muraglia Cinese e invece è davvero piccolo!). Tanta allegria, tanta voglia di cantare e suonare strumenti folkloristici.
Ho visitato anche il Santo Sepolcro e il Getsemani, luoghi molto belli, anche se mi sono accorta con un certo dolore (ma non con stupore, sinceramente) che riuscivo ogni minuto di meno a trovarne il significato spirituale. Vabbè, è un discorso che vi ho già fatto. A questo punto mi chiedo davvero cosa ne sarà della mia anima.
Un degno ma inquietante interrogativo, lasciato da una città che ti tocca il cuore.
I bei tempi in cui i Classici Disney erano dei veri film di animazione. I bei tempi in cui per fare un film di due ore usavi circa mille disegnatori, triliardi di bozzetti e temperavi per millemila volte intere foreste tropicali sotto forma di matite.
Guardare il video qui sopra, trailer del prossimo film Disney che qualche buontempone ha avuto il coraggio di inserire fra i “Classici”, mi ha messo una tristezza infinita. Sono venuta su a pane e film Disney come tutti quelli della mia età, e per fortuna la mia infanzia ha coinciso cronologicamente con l’era d’oro della Walt Disney Company, vale a dire gli anni ’90. Per un attimo pensiamo a quei poveri bimbi di oggi, che vanno al cinema e si ritrovano davanti… questo. Un concentrato di animazione 3D o comunque computerizzata fino al midollo, senza sentimento, senza quel tocco che avevano fino a 10 – 12 anni fa, tutta uguale. Di sicuro, se mettessimo i pargoli odierni davanti al primo Classico, Biancaneve (1937), si annoierebbero dopo i primi 30 minuti. Semplicemente perché sono nati agli albori della nuova era digitale e non sono abituati alla cosiddetta “vecchia scuola”, che tanta gloria ha portato a questa casa di produzione. Quando mi guarderò indietro vedrò storie fantastiche, canzoni profonde e disegni geniali; quando questi bambini si guarderanno indietro vedranno… cosa? Panna Montata, pardon Hanna Montana? High School Musical?
Va bene, magari il trailer qui sopra è simpatico e fa ridere, magari giudico in fretta perché il film non è ancora uscito, magari magari magari. Metteteci tutti i “magari” che volete, ma mi rifiuto di credere che questo Rapunzel sia inserito nella stessa lista in cui figurano vere e proprie opere d’arte come Il Re leone, Le avventure di Peter Pan, La Sirenetta…
A mio modesto parere, le uniche due opere prodotte negli ultimi tempi che si salvano sono Wall-e e Up.
E se già adesso, a 15 anni, devo iniziare una frase con le inquietanti parole “ai miei tempi…“, c’è qualcosa di preoccupante che non va. Ma ditemi voi come si fa! Siamo passati da “Like fire / Hellfire / This fire in my skin / This burning / Desire / Is turning me to sin” (“Come fuoco / Fuoco d’inferno / Questo fuoco è nella mia pelle / Questo bruciante / Desiderio / Mi spinge al peccato”) de Il Gobbo di Notre Dame (1996) alla melensata High School Musical (2006) “This could be the start of somethin’ new/ It feels alright to be here with you / And now lookin’ in your eyes / I feel in my heart / The start of somethin’ new” (Questo potrebbe essere l’inizio di qualcosa di nuovo/ è bello essere qui con te / E adesso guardando nei tuoi occhi / sento nel mio cuore / l’inizio di qualcosa di nuovo“). Ma per favore!
Si sono talmente ossessionati con il “politically correct” da misurare sempre le scollature delle tipe col millesimo. In assenza di idee nuove, si sono buttati a capofitto in quelle ridicole Sit – Com da preadolescenti sottoacculturate, sfornando delle non meno ridicole dive teenagers (Miley Cyrus, Vanessa Hudgens, Ashley Tisdale, Selena Gomez, Demi Lovato eccetera), pagate per non saper recitare e fingersi più pure e vergini della lana. E’ ovvio che poi queste cerchino una carriera indipendente dalla Casa del Topo, e magari finiscano con lo spogliarsi un po’ troppo credendosi delle novelle Scarlett Johansson. Ovviamente, poi, vengono bacchettate dalla castissima Famiglia Disney.
Prima non ho citato Il Gobbo di Notre Dame a caso. Per la cronaca, è uno dei miei film disneyani preferiti a parimerito con Mulan e Le Follie dell’Imperatore. Il Gobbo, però, è un vero capolavoro sotto tutti gli effetti: musica, disegni, ambientazione, sceneggiatura, e soprattutto creazione del profilo psicologico dei personaggi. Un’opera come questa è da considerare pietra miliare dell’animazione, non mi stancherei mai di guardarla. Forse il segreto è il riadattamento di opere letterarie, in questo caso di Vittorio Ugo Victor Hugo.
Innanzitutto, l’atmosfera generale del film è assolutamente la più dark, gotica e oscura di tutta la produzione Disney – in linea col periodo storico della vicenda, ovviamente. Questo segna una svolta, perché fino a quel momento si vedevano solo belle principessine, bei principi, arcobaleno, fiorellini e magari, se proprio serviva, un drago.
Poi, non meno importante, con il Gobbo inizia la consuetudine di creare un tema musicale caratteristico per ogni film: per la prima volta il Leit Motiv è preso dalla canzone del cattivo e non del protagonista. A questo punto concedetemi due parole sul caro Claude Frollo made in Disney. La produzione ha cambiato drasticamente le caratteristiche dei personaggi rispetto al libro, ma non ha rovinato niente, e il personaggio di Frollo è sicuramente il più riuscito. Anche in questo si vede la genialità (ahimè perduta) di un marchio. Questo cattivo è di sicuro il peggiore di tutti quelli esistenti, semplicemente perché rappresenta quanto di peggio ha da offrire la razza umana: razzismo, ipocrisia, lussuria, bigottismo religioso. L’unica concessione al “politically correct” è stata nel renderlo un giudice anziché un prete come nell’originale, per prevenire probabilissimi sabotaggi ad opera del Vatikan. Gli altri antagonisti, come Malefica, Jafar, Ade etc. hanno bisogno di poteri magici per incutere timore. Lui è semplicemente così com’è: umano. Uccide una donna, cerca di uccidere un bambino, lo imprigiona in una torre per 20 anni, ritiene gli zingari una razza inferiore che “vive al di fuori dell’ordine naturale”, fa frustare uomini innocenti, offre libertà in cambio di sesso e si considera sempre un perfetto cristiano, l’uomo più puro della Terra. Ditemi voi se questo non fa di lui il personaggio più terribilmente crudele (e stranamente affascinante) che sia mai uscito dalle menti del Topo. Il tutto condito dal suo tremendo conflitto interiore: seguire le convinzioni personali o la passione per Esmeralda? E poi, perché Dio ce l’ha tanto con lui da metterlo alla prova con questa infernale tentazione?
Un personaggio complicatissimo, considerato il cattivo più maturo, rappresentato in maniera eccellente dalla canzone Il Fuoco dell’Inferno (Hellfire): una scena magistrale, la più controversa, oscura e potente. Mette i brividi ogni volta che la si guarda. Ecco il bello di questo film: se lo si vede da bambini si capiscono solo certe cose, ma abbastanza per godersi la vicenda. Se lo si vede da adulti, ecco svelate certe sfumature invisibili ad occhi infantili. In questo modo tutte le fasce di pubblico possono godersi il film secondo il grado di compresione e analisi. Quando guardavo la scena in questione da bambina, pensavo semplicemente che Frollo ce l’avesse con la gitana perché l’aveva offeso. Qualche anno dopo, riguardandola, ho avuto chiara la drammaticità di quella crisi spirituale. Desiderio carnale puro.
Ora godetevi il video che vi metto, e confrontatelo con il primo trailer qui sopra (se ne avete il coraggio). E alla Disney odierna dico: guardate questa scena, guardate i film che fate adesso, poi tornate su questa scena. Notate qualche differenza?
Fermo! Fai una pausa tra le frustate. Altrimenti il vecchio dolore lenirà quello nuovo.