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Vita In Pillole

~ Tipico blog di un'adolescente atipica

Vita In Pillole

Archivi tag: bionde

Sulla moda, sulle fashion bloggers e sulla fama facile

19 giovedì Ago 2010

Posted by LadyLindy in Fashion Sense, L' attualità vista da un'adolescente, Pensieri di sfuggita

≈ 9 commenti

Tag

adolescenza, attualità, bionde, Chiambretti Night, Chiara Ferragni, Chiara Ferragni al Chiambretti Night, fama, fama facile, fashion bloggers, griffes, Misha Barton, moda, presa in giro, The Blonde Salad, The Blonde Salad by Chiara Ferragni, vestiti

 

E’ molto strano: mi sono sempre chiesta cosa sia, stringi stringi, lo stile. La moda è una meravigliosa cavolata, lo sappiamo, ma lo stile no. Lo stile è l’espressione di se stessi e della propria personalità, di cosa ci piace, in una parola di noi. Ti piace vestirti sempre di blu? Perfetto: se il blu rispecchia la tua personalità, usalo finché vuoi. Chi sono io per impedirtelo.

Quello che non capisco è tutto l’ambaradan ruotante attorno alle grandi griffes. Io non so mai cosa pensare: a volte mi dico che se qualcosa ha quelle letterine stampate sopra sarà sicuramente di grande qualità e varrà un fracco di quattrini, salvo poi scoprire che una borsettina Prada viene venduta a prezzo-stipendio nelle boutiques ma prodotta da clandestini sottopagati e in nero a Napoli. A questo punto, entrare in un monomarca ultrasnob (perché sono tutti così, alla fine) o comprare alle bancarelle del mercato mi dà la stessa (scarsa) sicurezza sul prodotto, con l’unica differenza che per comprare un foulardino di Hermès devo accendere un mutuo.

Mi fanno assai ridere, inoltre, tutte quelle pischerle che si indignano dei prezzi inaffrontabili di certe marche, dicendo che alla fine sono oggetti come gli altri e una firmetta non importa niente, per poi sbattere a destra e a manca la borsetta malamente taroccata, comprata dagli abusivi. Le case di moda, come avevo già detto qui, sono veramente poco attente alla gente che vive nel modo, perse in interessi multimiliardari, impegnate a manipolare la stampa e comprarsi i giornalisti, a reclutare modelle con metodi ignoti (fino a un certo punto), a fingersi contro l’anoressia mentre scheletri “viventi” zompano in passerella. 

Loro sono contro l'anoressia. Come, non si vede?

Per questo, dopo aver capito che fra gli stilisti “veterani” non rimane nulla che sia lontanamente paragonabile alla creatività e al talento, ma solo qualche guaio giudiziario, avevo accolto con gioia il boom delle fashion bloggers come una sorta di ondata liberatoria dall’egemonia malata della grandi griffes, magari per vedere qualche esordiente un po’ diverso, magari per scoprire che per avere stile non bisogna per forza essere tutte scianelluivuittonverauang eccetera. Qualche fashion blog di qualità l’ho trovato, infatti, come The Sartorialist, The Street Fashion, Le blog de Betty, Karla’s Closet, Tokiobanhbao, Rejecting the obviousness e altri; ma poi ho avuto la sfortuna di imbattermi per caso in una certa insalata ossigenata. Lei è Chiara Ferragni, e ha la pretesa di definirsi fèscionblogger più famosa d’Italia, ma che dico d’Italia, di tutto il mondo, dell’Universo, del Creato e del non Creato. Grazie al cielo qualcuno su Facebook non si fa incantare (qui e qui). Vi chiederete che cos’ha di diverso dalle altre bloggers che me la renda tanto antipatica. Innanzitutto, è una rossa cremonese, ma evidentemente il rosso tiziano non è abbastanza fèscion, così ha deciso di spacciarsi per bionda naturale milanese (anche se in realtà arriva direttamente dal mondo Mattel). Bocconiana perfetta, si definisce “studentessa” quando in realtà sui libri non la si vede mai, con gran sprezzo degli studenti che si fanno un mazzo tanto.  Le sue fans la idolatrano come una dea scesa in terra, e a giudicare dalle tonnellate di giornali che parlano di lei a tutto spiano deve essere proprio un’ icona di stile degna di Gabrielle Chanel. Ehm. Quasi. In realtà i suoi abbinamenti non è che abbiano tutta questa originalità, lei pensa solamente a mettere in bella mostra i loghi delle marche, e impiegherà due ore ogni giorno a photoshopparsi, pure malamente (controllate voi al link che vi ho messo su “insalata ossigenata”). Infatti, l’impressione è che quello non sia un vero blog di moda, bensì una specie di santuario autocelebrativo che urla ai quattro venti “guardate com’è bella, ricca, interessante, piena e glamour la mia vita. Mica come la vostra, pidocchi”. Sorvoliamo sul suo italiano da quinta elementare – o scopiazzato da altri siti – e sull’inglese da “senza Google Translate sarei persa”. Senza contare che dalle sue parti continuano a vantare miliardi e miliardi di visite, senza però rendere mai visibile il counter (magari adesso li ha davvero i miliardi di visite, ma all’inizio erano di certo una mossa pubblicitaria). La madama Ferragni, soprannominata dalle Vipere Kiaretta, Ferracne, Ferragna, Ferraglia eccetera, passa da un party all’altro, e… non ci crederete mai… anche al party del Pdl! Sì, dev’essere un retaggio del suo fidanzatino, tipico ragazzo della Milano bene detto anche “Uomo Bancomat”, a cui auguro di non farsi male all’indice a forza di votare il blog della sua Barbie su ogni aggregatore possibile. E magari, passando da un party fighissimo all’altro, provasse a dare un’occhiata agli scheletrini nell’armadio del Sire supremo. Il target dell’insalata bionda è probabilmente lo stesso del programma televisivo Trl, Totalmente Rincoglioniti Live Total Request Live… aspettate un attimo! Ma è proprio lei la biondina che presenta ai Trl Awards 2010? Sì sì! Eccola:

Vi segnalo che comunque ha rimediato anche una orrenda figura con i Dari. Ancora un attimo… ma come ha fatto Chiaretta, nel suo piccolo, a finire in tv? Vabbè che per fare il VJ di MTV, da un po’ di tempo a questa parte, occorre soltanto avere un atteggiamento da “viva i ggggiovani”, e sappiamo tutti che le selezioni sono tenute dal cugino della Pimpa. Però lei non ha nemmeno un minimo di competenza in fatto di dizione e presenza televisiva. Ci dev’essere qualcosa sotto. Ah, ecco! La coppia più bella della Mattel è amica del cantante dei Finley! Da che mondo è mondo, i Finley sono proprio ospiti tipici di Trl, quindi pare che ci sia stata una intercessione caritatevole per lei.

Sempre per quanto riguarda le mistiche apparizioni della Bloggerpiùfamosad’Italia in tv, è imperidbile la chicca del Chiambretti Night (notare la faccia di Misha Barton) in cui si presenta vestita da carnevale dei cavalli Cow Girl:

Ed ecco il commento di qualcuno che ha capito tutto su youtube (per fortuna c’è gente come lui):

A questo punto ci si potrebbe consolare pensando che almeno è onesta. Eh no! Basta indagare un po’ in rete per scoprire che è stata reclutata dalla Fiat per sponsorizzare la nuova 500 assieme al suo fidanzato Ken, ma lei non l’ha nemmeno comunicato ai lettori continuando imperterrita a fare pubblicità occulta. Peccato che tutto si scopra facilmente su Internet.

Concludo dicendo a Chiaretta che è inutile commentare il suo stesso blog con due nickname diversi per difendersi, dirsi aperte alle critiche ma rispondere solo con dei seisoloinvidiosa seigrassissima seitamarra vorrestiesserealmioposto eccetera. Se vuoi diventare famosa, se ci metti la faccia e mostri in Internet tutta la tua vita privata, devi accettare le conseguenze. Sei maggiorenne e responsabile per quello che fai: i trucchetti vengono smascherati facilmente, e in Internet ci si può documentare facilmente. Non sei l’unica ad avere un blog di moda in tutta Italia, anzi molte sono più brave di te. E allora, per favore, se non riesci a gestire la presunta fama (e tutto quello che comporta), meglio lasciar perdere.

 

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Il cibo del Diavolo – parte 2

12 giovedì Ago 2010

Posted by LadyLindy in Pensieri di sfuggita

≈ 12 commenti

Tag

adolescenza, bionde, cibo, colpa, Diavolo, fame, fast food, gruppo, hamburger, lasagne, nutrirsi, nutrizionismo, panini, presa in giro, salute, Satana

Il post è la continuazione di questo, per i più tocchi che non l’avessero ancora capito dal titolo. Fate un bel ripassone.

Putroppo non posso portarmi a casa la biondina, quindi mi rassegno a doverla deludere. “Mah, veramente preferivo qualcosa di più leggero… ecco, ehm ehm ehm…” non abituata ai ritmi frenetici dei fast-food, che come dice il nome stesso sono veloci, me la prendo comodissima manco fossi ad un ristorante tutto caviale e aragosta, però noto che il sorrisone da Joker della signorina si sta incrinando… dietro di me la folla di varia umanità comincia a spazientirsi, va bene va bene, volete avvelenarvi a pagamento e lo volete anche al più presto, non vi bloccherò il traffico.

Mi giro e blatero il primo nome che vedo scritto in un megacartellone, roba che se non sai l’inglese almeno a livello quinta elementare sei fottuto, pensi di ordinare qualcosa e poi ti arriva tutt’altro. Non oso immaginare chi vuole mangiare più di due cose, si ritrova a dover sciorinare uno scioglilingua pieno di c, g e k. Un fiorire di Chicken, Nuggets, Veggie, Piri Piri, Chilli, Tendercrisp, Flurry e altre amenità.

Sinceramente non so nemmeno cosa ho preso, ma la tipa è già lì con un panino in mano (davvero è mio? Ma l’ha preso in mezzo ad un gruppo di scatolette tutte uguali! Chi li ha fatti???). Con sollievo mi accorgo che dentro almeno ci sono un paio di verdure, una fettina di pomodoro e mezza foglia di insalata, meglio di niente. E la mia sgangherata gang con cosa si sta abbuffando? Chili e chili di patatine sintetiche, carne unta e bisunta, formaggio fuso colante, insomma il massimo della salute. A questo punto è arrivato il momento della verità. Mi sento osservata dai santi come Claude Frollo davanti a Notre Dame. Sto impazzendo dalla fame e ormai il panino l’ho pagato. Cheffacciocheffaccio? Mangiare o non mangiare? Mandare a quel paese le proprie convinzioni e divorare o resistere stoicamente per poi uscire di scena con un plateale svenimento da calo di zuccheri? Altro che Amleto. Altro che angioletto e diavoletto sulle spalle di Kronk. I miei compari di disavventure non aiutano di certo, impegnati come sono a chiacchierare di inutilità sputacchiando pezzettini di carne e risate. Provo con l’ultima risorsa di difesa: “Ma come fate a mangiare questa roba? E se poi andate all’ospedale per problemi circolatori?” Risposta di un gran visir della raffinatezza: “Ecchecavolo, ma quante pare che ti fai! E poi se vado all’ospedale almeno mi perdo qualche giorno di scuola, speriamo almeno che ci sia un’infermiera carina.” Non fa una piega, come le gonne di Chanel.

A questo punto, non posso far altro che dare un morso. Un morsettino innocente.

Sgnam. Che il cielo mi perdoni, ma è delizioso!!! Non è umanamente possibile fare un panino con questo nonsoché… sarà il gusto della trasgressione? Eppure, ci dev’essere qualcosa di strano sotto. Non datemi della paranoica, della sospettosa e robe del genere. Magari è il sapore dei grassi saturi. Magari questo hamburger ha la bellezza delle copertine patinate, cioè finta, ritoccata, impossibile da raggiungere per chi non ne conosce i retroscena. Eppure è il modello dominante.  

E’ così che divoro tutto avidamente in poco tempo, facendo onore alla velocità che è propria delle cattedrali del nostro tempo. Ancora una volta non siamo noi a cambiare il sistema, ma è il sistema a cambiare noi. Ed ecco che parte il motivetto più seccante di tutta la vicenda, quello dei sensi di colpa. Mi odio. Mi odio profondamente perché ho mangiato frattaglie di animali maltrattati, nutriti a scapito di popolazioni del Sud del mondo, pieni di ormoni e schifezze, in un posto su cui aleggia una strana atmosfera che ti costringe a fare tutto in fretta senza digerire, senza rilassarti.

L’unica via di salvezza per espiare le colpe è diventare vegetariana. Devo dimostrare a me stessa di non avere la forza di volontà di un’alga muschiata. Fanculo a chi dice che alla mia età non va bene perché c’è bisogno di variare. Quando sono entrata al fast-food nessuno mi ha fermato. E adesso siete un po’ colpevoli anche voi della mia crisi mistica (evviva le responsabilità). “Da domani si cambia, per ritrovare la diritta via, per la redenzione” mi riprometto. I soliti buoni propositi stile anno nuovo.

Bene, arriva il nuovo giorno, portatore di nuovo stile di vita. A colazione tutto normale, non c’è nessun demonio tentatore. A pranzo la musica cambia. Mia madre, sia benedetta, convinta di far cosa gradita sforna una tegliazza di lasagne profumate a ventordici strati. Lasagne davvero emiliane, non come quelle che vendono al supermercato. Comprese di besciamella, ragù eccetera.

No, il finale non ve lo dico. Indovinatelo voi:

 

 

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Il cibo del Diavolo

09 lunedì Ago 2010

Posted by LadyLindy in Pensieri di sfuggita

≈ 18 commenti

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adolescenza, bionde, cibo, colpa, Diavolo, fame, fast food, gruppo, hamburger, mobbing, nutrirsi, nutrizionismo, panini, presa in giro, salute, Satana

A Paperoga, che mi ha dato lo spunto per questo post e condivide con me i sensi di colpa da junk food.

Lo ammetto e mi pento. Di più: mi autoflagello come una della Confraternita dei Battuti. Me ne vergogno profondamente. Sì, perché se qualcuno l’ha fatto in veneranda età, e almeno è sicuro di aver passato onestamente la gioventù, io no: sono rovinata già  a 15 anni.

Ho mangiato al fast-food. Mi sento male a dirlo. Che tutte le divinità, da Mitra a Krishna passando per Gesù, mi perdonino. Per sicurezza dirò una preghierina anche al Grande Unicorno Rosa. In un solo istante tutti i buoni propositi e i principi morali se ne sono beatamente andati, scusate il francesismo, a cagare. Quando fior di psicologi vi dicono che nell’età adolescenziale l’approvazione del gruppo è importante, fidatevi: mi secca dirlo, ma è dannatamente vero!

Praticamente è andata così. E’ sera. Sono fuori con una strana combriccola di bipedi più o meno conosciuti. Fila tutto liscio, o almeno il liscio che si può pretendere se esci con un nutrito numero di bimbeminchia, un gay represso che per compensazione si atteggia a maschio alfa, un paio di molluschi travestiti da ragazzi e qualche essere mai visto prima. Ma questa è un’altra storia.

All’ora fatidica, comincia a farsi strada fra tutti un certo languore diabolico. Bene. Se non vogliamo fare la fine del conte Ugolino e darci al cannibalismo, prospettiva interessante per un’uscita amichevole, sarà meglio cercare uno straccio di posto qualsiasi per rifocillarci. Il problema è che, già in una cittadina con poco più di 30.000 abitanti, di sabato sera ogni locale esistente è fottutamente pieno. Straborda. Ancora un po’ e devono costruire delle dighe.  E intanto la fame aumenta. Pare che l’umanità intera abbia deciso di mangiare fuori proprio quel giorno. In effetti, in periodi particolarmente duri c’è sempre voglia di divertirsi e darsi ai piccoli piaceri della vita, come il cibo.

Peccato che noi, ormai, abbiamo la bava da zombie lunga fino ai talloni. A questo punto, proprio mentre una del gruppo comincia ad annusare un po’ troppo il mio profumo allo zucchero filato, qualcuno azzarda la temeraria proposta. “E se provassimo al Mèc?” E’ in queste occasioni che credo all’esistenza di Satana. Mi sento come Gesù durante i 40 giorni nel deserto, tentato dal demonio. Il Mèc in questione pare, in quel momento, una specie di faro di Alessandria: lontano, luminoso e simbolo di terra ospitale. Il bello è che lì hanno sempre posto. C’è sempre un tavolino, una sedia, alla peggio uno sgabello. Chissà perché. Comunque, tutta la banda del buco di cui mi onoro di far parte si rianima all’improvviso, sfamata al solo nominare il fast-food (potere placebo), pensando che almeno mangiamo in fretta e spendiamo poco.

Ora. Voi crederete che nei gruppi, anche se di giovani, esista una sorta di “democrazia”, o per lo meno una messa ai voti delle decisioni più importanti (se permettete, decidere dove mangiare mi pare importantissimo). Bè, scendete dal pero. Già che a stomaco vuoto si ragiona male, io rimango l’unica a fare resistenza. Le tento tutte: sit-in, sensibilizzazione, resistenza passiva, sciopero della parola (controproucente – ne sembravano felici), incatenamento a lampione. Sforzi vani. Io punto al loro cuore, loro si curano solo dello stomaco. Così ci avviciniamo al tempio della superiorità occidentale, mentre mi sento assai a disagio. All’angolo, un gruppetto di cinnetti sta festeggiando un compleanno, immerso in palloncini e stelle filanti. Sorridono, gioiosi e sdentati. Chissà da quanto sono abituati a mangiare lì. Riluttante, mi metto buona buona in coda per la personale dose di veleno a pagamento. Al mio turno, la deliziosa signorina bionda che sta dietro al bancone mi sorride, gioiosa ma non sdentata. Poi, ed ecco la parte più inquietante, attacca una manfrina che nemmeno i venditori di cavatappi porta-a-porta. “Ciao! Vuoi provare il nuovissimo Mèc Nonsocosa, con sanissima Mèc carne dop di origine italiana, Mèc insalata igp, Mèc formaggio doc e bla bla bla?”. Ossantoiddio. Si è imparata a memoria lo slogan promozionale e lo deve ripetere ad ogni cliente che arriva, quindi ad occhio e croce un triliardo di volte per serata. Tutto questo senza mai perdere il ghigno innaturale a  trentadue denti. Mi viene da piangere. Chissà se le hanno fatto un corso apposta. Magari un lavaggio del cervello completo. Forse ha un floppy-disc inserito nella schiena. Vorrei tanto tirarle una secchiata d’acqua fredda addosso per scuoterla, invitarla a casa mia per un the e magari farla sfogare, così può parlarmi del fantastico Mèc Mobbing di cui è fatta sicuramente oggetto assieme ai suoi colleghi.

Fine prima parte – forse, se le congetture astrali saranno favorevoli, vi racconterò anche la seconda.

 

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