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abbraccio, bar, caffè, cappuccino, Cervia, corridoio, dante, divina commedia, esistenza umana, intervallo, latte, merenda, periodi, resto, Roberto Cavalli, san pietro, scuola, soldi, specchio, tazza, tulle
Quello che il tabernacolo è per la Chiesa, lo può rappresentare efficacemente la macchinetta del caffè per ogni edificio pubblico che si rispetti. Il robotino elettrico sputacchiante è un idolo, una consolazione, una sorta di bar versione plebea. Niente alzatine, porcellane di Sèvres o pasticcini Ladurée acconciati con foglietti ricamati in simil-tulle: la felicità è tutta in un bicchierozzo di plastica color saliera di Cervia, mai riempito fino in fondo.
La macchinetta è uno specchio di quello che siamo, se proprio vogliamo fare i poetici – e non c’è niente di meno poetico del rumorino ingolfato e della polverina scura “vorrei essere caffè ma non posso”. Quando vi presentate davanti all’amica Buonristoro, Incontro, Abbraccio o Matrimonio Di Sapore (si accettano segnalazioni di altri nomi che sapete), inserite la solita pecunia e scegliete la benedizione quotidiana, pensateci: anche la macchinetta ci guarda severamente, ha quell’atteggiamento un po’ da “cazzo vuoi?”, ci accontenta ma di malavoglia. E soprattutto, attenzione attenzione, riassume la nostra condizione.
Quante situazioni sono ben descritte dalla sensazione che si prova davanti al resto che non esce? Sì, perché se vi esce il resto siete dei fottuti privilegiati. Se non lo fa, ci si sente abbastanza stupidi, e ancora più stupidi dopo aver letto – troppo tardi – la famigerata targhetta a caratteri cubitali “NON DÀ RESTO”. Ammettetelo, fa più paura della porta infernale nella Divina Commedia.
Ci sono anche quegli altri, con l’aria da San Pietro, che sventolano la chiavettina ricaricabile e aprono davanti agli altri le porte del Paradiso al cioccolato e latte. Loro possono permettersi di ubriacarsi coi cappuccini senza nemmeno avere il contante in tasca – non so voi, ma questo sì che io lo chiamo privilegio, la Porsche e la casa in Sardegna gli fanno un baffo.Come nell’esistenza umana ci sono periodi sopportabili e altri che difficilmente si distinguono dagli escrementi, così ci sono caffè usciti un po’ al gusto Sindona, un po’ all’arsenico che Gauguin vomitò invece di avvelenarsi (pari pari si potrebbe fare con tali caffè dell’amica Abbraccio Di Cacao).
Un capitolo a parte meritano le macchinette a scuola, includendo anche le dispensatrici di cibarie e non solo bevande. Loro sono più bastarde: tu metti i soldi, quella inizia a tremare come i pelouches tremolini, l’anellina di metallo si apre… e i tuoi biscotti rimangono lì. Penzolano, ballano, scricchiolano, ma non scendono. “Prelevare il prodotto”, dice crudelmente l’amica. Una delle più grandi trollate nella quotidianità. Ed è lì che tutto il senso di limitazione umana ti si palesa davanti agli occhi: l’oggetto del desiderio non esce. La struggente storia d’amore fra te e le patatine, ostacolata dalla macchinetta simbolica: tu come Giulietta, il cibo è il tuo Romeo, in più ci rimetti dei soldi.
Allora, un altro fenomeno notevole avviene. Se dite che la cavalleria è morta, non ci sono più galantuomini eccetera, non avete mai visto una ragazza a scuola, con la merenda rapita a tradimento dalla tecnologia moderna. La damsel in distress attira orde di vendicatori pronti, a turno, a tirare calci, pugni, fiancate con rincorsa inclusa ai vetri. E alla fine, chi riuscirà nell’impresa sarà acclamato nuovo eroe, cavaliere dell’Ordine dell’Amica Chips, il tempo di un intervallo.
http://pinterest.com/existentiallady guardando queste foto ho pensato improvvisamente che ti sarebbe piaciuto. ^_^ Buona visione.
waaaaaaaah bellissime!!! Grazie!
Che post bellissimo!
Non potrò non pensare a quello che hai scritto, nelle mie quattro o cinque visite quotidiane al tabernacolo…
hahaha era l’intento originario: assumere il controllo delle vostre menti nelle attività quotidiane,
in modo da creare il mio personalissimo esercito alla conquista del mondo.per darvi una sferzata di umorismo.ah, le macchinette.. alle superiori, quando non ero ancora schiavo del caffè, fuggire di classe con una scusa per concedersi una bella cioccolata con “zucchero MAX” non aveva letteralmente prezzo (oddio, in realtà sì: 20 centesimi, mi pare).
ps. le NON DÀ RESTO erano le bitch delle macchinette.
comunque condivido in pieno le vagonate di zucchero. La mia dà solo cinque pallini di zucchero come max, io metterei direttamente un chilo di canne da zucchero in tazza.
Ciao, ho fatto le superiori in quel di Milano più o meno 15 anni orsono, e delle “macchinette” distributrici di alimenti ricordo che, a fronte di una interminabile introduzione di monete di minuscolo taglio (i nostri puntualmente non accettavano mai le 500 né le 200 lire ma solo le 100 lire) raccolte risparmiando sulle offerte domenicali in chiesa, i suddetti inquietanti cassonetti erogavano dei rettangoli compressi, disidratati, liofilizzati ed estrusi che si vantavano di essere merendine (di dimensioni di circa 1/100 di quelle pubblicizzate), che dovevano con tutta probabilità essere state donate dalla Nasa circa una ventina di anni prima perché avanzate a Neil Armstrong e Buzz Aldrin, come testimoniato anche dalla data di scadenza penosamente camuffata ma ancora purtroppo tristemente leggibile. Per saziare branchi di adolescenti che cercavano di reprimere un desiderio sessuale al cui confronto Balotelli pareva Franco Battiato con quel mangiare per astronauti, le suddette macchinette avrebbero dovuto avere le dimensioni più o meno di una centrale nucleare.
benvenuto roberto! Innanzitutto, torna pure quando vuoi e sarò felice.
Credo che la chiave di comprensione di tutta la triste vicenda sia, come hai accennato, l’ormone. Pensavo infatti di fondare una nuova filosofia basata tutta su questa entità. E ci collegherò anche le macchinette per gli insaziabili adolescenti.
Pace.
Io , invece, ho un odio profondo per il caffè delle macchinette che di caffè, per come lo intendo io, ha solo il nome! Perché ti sfido a trovarne una che lo faccia, non dico buono, ma almeno decente! E il brutto è che, alla fine, ti ci assuefai e manco ti ricordi più il piacere di un buon caffè.
(E ho volutamente tralasciato il discorso tè della macchinetta che per una purista del tè come me che lo prende rigorosamente amaro e rigorosamente sfuso è praticamente un’offesa!)
sono d’accordo, non sono buoni. Ma quando sei in mezzo al brutto, anche il più piccolo surrogato di bello ti pare il Paradiso. Poi se inizio anche io a parlare del tè, figurarse!, quello della macchinetta è uno schifo assurdo. Sembra piscio di limone. Infatti io vado avanti a cappuccini e finti cioccolati.
Pure io cappuccini! Però mi deprimono 😦
Io l’ultima cosa spero sempre che accada. Che mi si ingolfino le patatine nell’anella di metallo.
Perché all’uni abbiamo le macchinette gentili: se ti si ingolfa, premi un pulsantino che ti ridà i soldi, e così puoi rimetterli dentro, schiacciare di nuovo il pulsante del prodotto che volevi. La rotellina si muove, e scende non solo il pacchettino che volevi prima, ma anche il successivo.
Due snack al prezzo di uno. Adoro.
ecco, vedi. La figosità di essere universitari sta in queste cose, all’apparenza piccole, in realtà dense di profondi significati – il pacchetto omaggio è un lusso che pochi possono sognare.
Beh, ragazze, poi c’è la botta di culo. Capita una volta su dieci miliardi, ma capita.
Anche dalle macchinette “bastarde” scendono 2 merendine alla volta. E giustizia è fatta! 😉
oppure a volte, non si sa mai, qualcuno lascia il resto nel buchetto e…
te lo freghilo restituisci. HEM HEM.Mi fai morire scrivi troppo bene :*
hahaha ma grazie carissima!
Mi hai fatto venire malinconia della macchinetta che avevamo a scuola, della Selecta (che ora non sono sicurissima, ma credo sia una marca svizzera)… Negli attimi più bui e disperati, un buon “choco-caffé” riusciva sempre a donarti un qualche minuto di calda felicità a suon di zucchero e caffeina.
ed è quello il bello. Credo sia il posto più confortante della scuola.
Probabilmente. Insieme alla mensa 🙂
ah, io la mensa l’ho sempre odiata.