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“Qualche volta ho nei suoi confronti una sensazione curiosa, specialmente quando mi è vicina, come ora. Mi sembra di avere una corda nella parte sinistra nel mio petto strettamente legata a una corda analoga nella parte corrispondente della sua personcina. E se mare e terra si frapporranno tra noi, temo che quella congiunzione andrà spezzata, e ho la convinzione che comincerò a sanguinare dentro.. quanto a lei.. mi dimenticherà! (sig. Rochester – Jane Eyre, Charlotte Brontë)

Questo libro ha attentato alla mia vita. E vi spiego perché. Da quando sono andata in biblioteca, luogo che ci fa assaggiare un antipasto di Eden, e ho deciso di fare amicizia con questo capolavoro, non l’ho più lasciato. Leggevo senza sosta, ogni pagina si portava inevitabilmente dietro l’altra come fossero scritte con sostanze che creano dipendenza. Quindi, andavo in giro per la strada con codesto libro in mano e non prestavo la minima attenzione a dove mettessi i piedi: mi sono imbattuta in ventordici pali della luce (tutti schivati all’ultimo momento), un fottìo di cani, altrettanti gatti e bimbi.

Non è la prima volta che faccio delle azioni eroiche del genere, infatti il tragitto fra la biblioteca e casa mia è testimone di cose che voi umani… ma torniamo al discorso. Jane Eyre: romanzo vittoriano, biografico, di formazione, gotico, d’amore, chiamatelo come volete; affronta un miliardo di temi, fra i quali anche in questo caso potete scegliere: l’essere donna, lo scontro fra passione e ragione, la società e i suoi strati, la redenzione e il pentimento, Dio.  Non sono certo io a dover fare un’analisi del libro in sé, o a parlarvi della geniale autrice Charlotte, perché di solito escono quei preamboli o quelle note di coda che io salto bellamente quando leggo i classici, quindi non ho la pretesa di sottoporle a voi, lettori (o meglio, dear Reader, come direbbe Charlotte). Ognuno legga il libro e si faccia la sua idea.

La mia idea è che io, lo dico senza presunzione, vanità o altro, sono Jane Eyre. Ho letto qualche libro, ma non mi sono mai identificata con un personaggio in modo così assoluto, empatico, incredibile. E invece adesso mi sono vista, mi specchiavo. “Povera, oscura, brutta e piccola“, e poi “magrina“, “pallida“, “dagli occhi verdi“, “esile“, “folletto“, tutto il contrario di come doveva essere una donna all’epoca. Ma una passione travolgente, che si infrange come un’onda sugli scogli delle convenzioni e delle altre persone (ho immaginato un paragone, piuttosto forzato se vogliamo, con la Dama di Shalott rinchiusa nella torre e impossibilitata a vedere gli altri se non con il suo specchio magico, così come il vero spirito di Jane è rinchiuso nel corpo di una istitutrice); un’intelligenza acuta, un carattere invidiabile… lei e il signor Rochester sono due uragani che si incontrano… mica come quell’antipatico moralista di Saint-John, personaggio spregevole ma interessante, la cui unica utilità alla trama è di controbilanciare il padrone di Jane.

Poi c’è la Matta della soffitta, il doppio dell’eroina, che rappresenta i suoi istinti repressi e si prenderà la vista e la mano dell’amato. L’odiosa Blanche Ingram, uguale uguale a tante ragazze che conosco. La bella Rosemund, anche lei la rivedo in qualcuna che mi ronza attorno.

E io? Spero davvero che un Rochester ci sia anche per me.

(Finale zuccheroso)